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Sabato, 31 Dicembre 2011
Antonio Gramsci: Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno

Una riflessione di Antonio Gramsci per il capodanno, con un augurio a tutti gli studenti, a tutti noi per un 2012 di resistenza alla macelleria sociale, di lotte e di vittorie. Buon anno!

La redazione

Antonio Gramsci: Voglio che ogni mattino sia per me un capodannoOgni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.

Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.

Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna. E sono diventati cosí invadenti e cosí fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Cosí la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa la film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.

Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.

(Antonio Gramsci, 1° Gennaio 1916 su Avanti!, edizione torinese, rubrica “Sotto la Mole”)

Venerdì, 09 Dicembre 2011
SCIOPERO E PRESIDIO DEL 12.11 CONTRO LA MANOVRA MONTI

La crisi sta distruggendo l’economia reale del nostro paese, favorita dallepolitiche criminali e recessive di macelleria sociale del regime Goldman Sachs incarnato dal governo Monti. Abbiamo solo due scelte: organizzare collettivamente l’autodifesa o trovarci soli ad affrontare la miseria che avanza, la disoccupazione, la scomparsa di ogni prospettiva di futuro.

Una sintesi della manovra Monti:

• sulla previdenza si fa cassa sulla povertà: innalzando l’età pensionabile, impoverendo milioni di pensionate e pensionati attraverso la mancata rivalutazione, colpendo duramente le pensioni di anzianità, senza considerare che il Fondo INPS per i Lavoratori Dipendenti è già oggi in equilibrio;
• non è prevista alcuna restituzione fiscale per lavoratrici e lavoratori, mentre si riduce la tassazione per le imprese (IRAP);
• viene reintrodotta l’ICI sulla prima casa, ma non si mette la patrimoniale, cioè non si toccano i grandi patrimoni e le grandi rendite finanziarie;
• si interviene con un prelievo di un misero 1,5% sui capitali rientratidall’estero con lo scudo fiscale;
• si introduce un aumento dell’addizionale IRPEF per Regioni e Comuni e ciò graverà in particolare sui redditi certificabili;
• dal luglio 2012, si prevede un aumento del 2% dell’IVA, rischiando di deprimere ancora di più i consumi;
• la stessa tracciabilità del contante, se non accompagnata dall’incrocio delle banche dati su redditi e patrimoni, rischia di non essere efficace per la lotta all’evasione fiscale.

SCIOPERO GENERALE
Lunedì 12 dicembre 2011

Presidio dalle 9 alle 12 in Piazza della Scala

PER DIFENDERE NOI STESSI E IL NOSTRO FUTURO
NON RESTIAMOCENE A CASA!

Venerdì, 09 Dicembre 2011
Una descrizione della crisi: “FURORE” di John Steinbeck

La crisi sta distruggendo l’economia reale del nostro paese, favorita dalle politiche criminali e recessive di macelleria sociale del regime Goldman Sachs incarnato dal governo Monti. Abbiamo solo due scelte: organizzare collettivamente l’autodifesa o trovarci soli ad affrontare la miseria che avanza, la disoccupazione, la scomparsa di ogni prospettiva di futuro.
Non è la prima volta che accade: il capitalismo produce continuamente povertà, emarginazione, violenza di classe. Riportiamo qui un brano tratto da “Furore” (capitolo V), romanzo emblematico della Grande Depressione prodottasi negli USA a seguito della crisi del ’29. COme monito e testimonianza. NdR

Una descrizione della crisi: I latifondisti arrivavano sul posto, o più spesso i loro rappresentanti. Arrivavano in macchina, e saggiavano con le dita la terra arida, e qualche volta facevano eseguire dei sondaggi in profondità. I mezzadri, sulle aie assolate, stavano inquieti a seguire con gli occhi le vetture fare il giro degli appezzamenti. E finito il giro i latifondisti, o i loro rappresentanti, venivano sull’aia e senza scendere dalle vetture parlavano ai mezzadri attraverso il finestrino. Per qualche tmpo i mezzadri restavano in piedi al fianco delle vetture, poi s’accoccolavano per terra, e cercavano dei fuscelli per disegnare figure nella polvere.
Sulle soglie dei casolari le donne s’affacciavano a guardare, e dietro di loro i bambini: testebionde, occhi dilatati, piedi nudi l’uno accavallato sull’altro, le dita nervosamente agitate dalla curiosità. Donne e bambini guardavano il capofamiglia conferire con il latifondista. Immobili, silenziosi.
Taluno dei rappresentanti si mostrava umano perché odiava la parte ch’era costretto a recitare, e taluno era irritato di dover mostrarsi, e taluno si mostrava freddo e insensibile perché da tempo aveva imparato che il padrone, per essere tale, deve necessariamente mostrarsi insensibile. E nel loro intimo tutti quanti si riconoscevano, a malincuore, strumenti d’una forza inesorabile. Alcuni di essi detestavano le cifre che li costringevano ad agire così, altri le temevano, altri ancora le veneravano perché offrivano loro un rifugio contro la ragione e il sentimento. Se il proprietario della terra era una banca, o una società finanziaria, i rappresentanti dicevano: La Banca (o la Società) intende… vuole… ha bisogno… esige… quasi che la Banca o la Società fosse un essere mostruoso, dotato di intelletto e sentimento, che li tenesse prigionieri tra i suoi tentacoli. Né s’assumevano alcuna responsabilità in nome della banca o della società, in quanto essi si ritenevano esseri umani e schiavi, laddove le banche erano al tempo stesso macchine e padroni. Alcuni rappresentanti erano orgogliosi di essere schiavi di così possenti e inesorabili padroni. Sedevano sui cuscini della vettura e spiegavano: Lo sapete anche voi che la terra è povera. Dio solo sa quanto lavoro e sudore ci avete sprecato su.
I mezzadri accoccolati annuivano, sconcertati, e disegnavano figure nella polvere. Sí, lo sappiamo, Dio lo sa. Se solo la polvere non se ne volasse via, se solo la pianta resistesse radicata nel terreno, la situazione potrebbe essere diversa.
I rappresentanti insistevano nel loro punto di vista: sapete anche voi che la terra diventa sempre più povera. Sapete anche voi cosa fa il cotone alla terra: la impoverisce, ne succhia tutto il sangue.
Gli uomini accoccolati annuivano: Lo sappiamo, Dio lo sa. Se solo ci fosse consentita la rotazione delle colture, si potrebbe infonderle sangue nuovo.
Già, ma è troppo tardi. E i rappresentanti illustravano le necessità e il modo di ragionare del mostro che era più forte di loro. Se uno riesce a provvedere al suo sostentamento e a pagare le tasse, può conservarla, la terra, certo che può.
Sí, ma se un anno manca il raccolto, la banca deve venirci in aiuto, coi prestiti.
Oh, ma la banca o la società non può, diamine! Non è una creatura che respira aria, che mangia polenta. Respira dividendi, mangia interessi. Senza dividendi, senza interessi, muore, come morireste voi senz’aria o senza polenta. È triste, ma è proprio così.
Gli uomini accoccolati alzavano gli occhi cercando di capire. Ma se ci lasciano stare, forse l’anno venturo avremo un buon raccolto. Dio sa quanto cotone l’anno venturo. Con tutte queste guerre, Dio sa come andrà su il prezzo. Non fanno gli eslposivi col cotone? Non fanno le uniformi dei soldati? Combinateci delle guerre, e vedrete come va su il cotone. L’anno venturo, forse. Guardavano in su, con occhi pieni di speranza.
Eh, ma non si può contare sulle guerre. La banca… il mostro ha bisogno di dividendi costanti, non può aspettare, altrimenti va a rotoli. No, le tasse vanno pagate. Se il mostro cessa di crescere, è perduto. Non può fermarsi.
E bianche morbide dita cominciavano a picchiettare sul riquadro del finestrino, e dure dita callose serravan più stretti i fuscelli irrequieti. Sulle soglie dei casolari assolati le donne sospiravano, poi cambiavano posizione ai piedi e l’agitazione dei pollici ora denotava apprensione. S’avvicinavano, guardinghi, i cani a fiutare la vettura e bagnavano i quattro pneumatici l’uno dopo l’altro. Razzolavano le galline nell’aia soleggiata e s’arruffavano le penne per infiltrarsi la polvere fin sulla pelle. Nei porcili grugnivano i maiali levando il muso, come a reclamare, dagli avanzi melmosi della brodaglia.
Gli uomini accoccolati riabbassavano gli occhi. E cosa volete che facciamo? Non possiamo rinunziare a una parte del raccolto, siamo già mezzi morti di fame. I piccoli non hanno abbastanza da mangiare. Siamo coperti di stracci. Se non fossimo tutti nelle stesse condizioni, avremmo vergogna a farci vedere in chiesa.
E alla fine i rappresentanti venivano al dunque. La mezzadria era un sistema che non funzionava più. Un uomo solo, sulla trattrice, ora sostituisce dodici, quattordici famiglie. Gli si dà un salario e si prende tutto il raccolto. Non c’è scampo. È doloroso, ma è così. Il mostro è malato: qualcosa gli è accaduto.
Ma a furia di cotone la fate morire, la terra.
Lo sappiamo, ma prima che muoia vogliamo tutto il cotone che può darci. Poi la venderemo. C’è un mucchio di famiglie, nell’Est, che non sognano altro che comprare un pezzo di terra.
I mezzadri alzavano gli occhi, pieni di spavento. E noialtri? Come si mangia?
Eh, a voi non resta che andarvene altrove. Viene la trattrice.
Ed ora gli uomini accoccolati si rizzavano in piedi, furenti. Ma questa terra l’ha presa mio nonno agli indiani, rischiando la pelle. E mio padre c’è nato e l’ha lavorata, lottando da disperato contro i serpenti e le erbacce. È venuto un anno cattivo e ha dovuto ipotecare. E noialtri siamo tutti nati qui. Anche allora, quando mio padre ha fatto l’ipoteca, anche allora il padrone era la banca, ma ci ha lasciati stare, e ci spettava un tanto su ogni prodotto.
Tutto questo lo sappiamo, ma non siamo noi, è la banca. Una banca non è mica un uomo. E neanche è un uomo il padrone di cinquantamila acri. Non è altro che il mostro.
Va bene, gridavano i mezzadri, ma la terra è nostra. L’abbiamo misurata noi, dissodata noi. Siamo nati qui, qui ci hanno ucciso, qui siamo morti. Anche se non è buona, è nostra lo stesso. È l’esserci nati, l’avrela lavorata, lesserci morti, che la fa nostra. È questo che ce ne dà il possesso, e non una carta con dei numeri sopra.
È doloroso, ma noi non c’entriamo. È il mostro. La banca non è un essere umano.
Va bene, ma è una società di esseri umani.
Niente affatto. Questo è il vostro errore. La banca è qualcosa di diverso da un essere umano. Capita che chiunque faccia parte di una banca non approvi l’operato della banca, eppure la banca lo fa lo stesso. Vi ripeto che la banca è qualcosa di diverso da un essere umano. È il mostro. L’hanno fatta degli uomini, questo sí, ma gli uomini non la possono tenere sotto controllo.
I mezzadri gridavano: Per avere la terra mio nonno si è battuto con gli indiani, mio padre si è battuto coi serpenti, a noialtri ci toccherà di batterci contro le banche, che son peggio degli indiani e dei serpenti. Vuol dire che ci batteremo, per tenerci la nostra terra, come han fatto i nostri nonni e i nostri padri.
E adesso i rappresentanti montavano in collera. Dovrete andarvene.
Ma è nostra, urlavano i mezzadri. Noi…
No, è della banca, è del mostro. Dovete andarvene.
E se prendiamo i fucili, come il nonno quando vennero gli indiani? E allora?
In questo caso ve la vedrete con lo sceriffo, prima, e poi con la truppa. Non capite che, se v’ostinate a restare, contravvenite alle leggi sulla proprietà, e che se fate uso delle armi siete dei delinquenti? Il mostro non è un essere umano, ma può servirsi degli uomini per ottenere quello che vuole.
E se andiamo via, dove andiamo? Come ce ne andiamo? Non abbiamo un centesimo.
È doloroso, dicevano i rappresentanti, ma la banca, il padrone di cinquantamila acri, non è responsabile di questa situazione. Voialtri vi trovate su terreni che non vi appartengono. Fuori di qui, in un altro stato, adesso che viene l’autunno potete mettervi a coglier cotone. Potete magari ottenere il sussidio. Perché non andate in California? Là hanno bisogno di manodopera, il clima è ottimo, non fa mai freddo, basta allungare il braccio per cogliere un’arancia, c’è ogni sorta di lavoro; perché non ve ne andate là?
E i rappresentanti mettevano in moto e ripartivano.
E i mezzadri s’accoccolavano di nuovo a disegnare figure nella polvere, a calcolare, a considerare la situazione, brusche le facce abbronzate, minacciosi gli occhi riarsi dal sole. Dalle soglie dei casolari ledonnesi facevano avanti timorose verso i mariti, seguite dai bambini anch’essi timorosi e pronti a scappare al primo allarme. I ragazzi più alti s’accoccolavano vicino al padre, per sentirsi adulti. E dopo un poco le donne domandavano: Cosa voleva?
E i capifamiglia guardavano su per un attimo, con gli occhi dell’afflizione. S’ha da far fagotto. Viene la trattrice, e un sovrintendente, come nelle fabbriche.
E dove andremo? domandavano le donne.
Non lo sappiamo, non lo sappiamo.
E le donne rincasavano in fretta e in silenzio, spingendosi innanzi i bambini. Sapevano che l’uomo, in tale stato di preoccupazione e angustia, può facilmente montare in collera e prendersela anche coi suoi. Lasciavano i mariti soli a calcolare e deliberare nella polvere.
Si lì a poco forse gli uomini si guardavano attorno: guardavano la pompa, inaugurata dieci anni prima, col glicine in fiore attorcigliato attorno al collo d’oca, guardavano il ceppo di legno sul quale erano stati scannati i polli a centinaia, guardavano l’aratro a mano nel locale degli attrezzi, guardavano la culla appesa alla trave lì dentro.
Nelle case i bambini facevano ressa attorno alle madri. Cosa andiamo a fare, mamma? Dove andiamo?
Non sappiamo ancora, rispondevano le donne, andate fuori a giocare, ma non andate vicino al babbo, potrebbe picchiarvi se gli andate d’intorno. E le donne tornavano alle loro faccende, lanciando continue occhiate ansiose agli uomini accoccolati nella polvere, preoccupati e intenti e pensierosi.

Martedì, 06 Dicembre 2011
DEMOS SC: NOI, IL NOSTRO LAVORO, LE NOSTRE LOTTE

di Alessio Arena

DEMOS SC: NOI, IL NOSTRO LAVORO, LE NOSTRE LOTTENei primi mesi del 2012 la nostra associazione, Démos – Studenti Comunisti, compirà cinque anni. Fondata da un piccolo nucleo di militanti, essa è diventata nel tempo unapresenza rispettata e riconosciuta, uno dei principali attori dello schieramento della sinistra nell’Università degli Studi di Milano.
A definire la sua ispirazione, la sua ragion d’essere, una valutazione di fondo: che la teoria e la pratica comuniste avessero molto da offrire al movimento studentesco, al suo radicamento, all’elaborazione di un percorso di affermazione degli studenti come soggettività protagonista nella comunità accademica e in grado di offrire un contributo rilevante all’intera società milanese e nazionale. Un intento, quello di mettere a disposizione di questa finalità uno strumento organizzativo, di difficile realizzazione. Ne abbiamo gettato i semi e oggi raccogliamo il frutto di una presenza rinnovata e accresciuta (ma ancora non sufficiente) nelle tre facoltà da cui abbiamo mosso i primi passi: Giurisprudenza, Lettere e Filosofia, Scienze Politiche.
Autonomi e capaci di proposta, abbiamo sviluppato nel corso degli anni una politica sempre attenta a ricercare i punti in comune con chi, diverso da noi, avesse a cuore il progresso delle condizioni di studio e di vita degli studenti. Così, ancora con poco radicamento alle spalle, ci siamo fatti primi proponenti della costituzione del comitato “Università in Lotta” che ha dato il via alla Statale alla grande ondata di protesta dell’autunno del 2008, costruendo le condizioni per quella convergenza su una piattaforma minima di rivendicazioni che ha saputo mobilitare un gran numero di studenti, prima che il particolarismo e l’irresponsabilità di alcuni settori del movimento assai più radicati di noi dessero luogo a un riflusso da cui non ci si è ancora riavuti.
Nondimeno, abbiamo portato avanti le proposte contenute in quella piattaforma unitaria e le abbiamo fatte nostre, traducendole in un programma elettorale per le elezioni studentesche del 2009 che ci hanno visto, per la prima volta in anni, presentare un’autonoma presenza comunista ed eleggere rappresentanti degli studenti in tutte e tre le facoltà in cui siamo presenti. Abbiamo, in quell’occasione, chiamato alla partecipazione elettorale, senza trascurare di denunciare la vuotezza delle istituzioni rappresentative accademiche e la necessità di una loro riforma, ma anche della strutturazione della partecipazione di tutti alla vita della comunità universitaria per alterare i rapporti di forza che, nei Consigli di Facoltà come nella vita quotidiana, riducono gli studenti a spettatori passivi dello smantellantellamento dei loro diritti e delle loro prospettive. Abbiamo avanzato proposte programmatiche serie per quanto riguarda gli organi superiori (Senato, CdA, CIDIS), corrispondenti a miglioramenti urgenti e fattibili della condizione studentesca. Alcune delle misure da noi proposte, contestate in campagna elettorale dagli altri gruppi per il loro presunto massimalismo, sono oggi allo studio degli organismi di Ateneo malgrado il nostro consenso non ci abbia permesso di rappresentarvele in prima persona, a riprova della responsabilità e concretezza del metodo che ci ha condotto alla loro elaborazione.
La nostra partecipazione al lavoro degli organismi cui siamo stati eletti è stata puntuale, assidua e propositiva, improntata alla rappresentazione dei problemi concreti delle fasce economicamente più deboli e disagiate e alla ricerca di soluzioni concrete e meditate (si pensi alla nostra campagna sul tema degli studenti-lavoratori). Delle nostre posizioni e proposte gli studenti sono stati sempre informati con puntualità e accuratezza attraverso i blog di facoltà e A piena voce, il nostro giornale, una tra le più longeve e diffuse pubblicazioni prodotte alla Statale.
Attenti alla collocazione delle nostre lotte nel cuore delle contraddizioni della società in crisi, abbiamo portato in Università le esperienze più avanzate, le posizioni più consapevoli sviluppate dal movimento operaio e sindacale e dall’intellettualità progressista e rivoluzionaria. Occasioni di approfondimento sono state dedicate a numerose questioni del mondo moderno: lo sfruttamento del lavoro, l’imperialismo, la guerra, l’antifascismo.
Agli incontri organizzati dalla nostra associazione, che hanno visto una crescente partecipazione da parte degli studenti, hanno partecipato gli operai della INNSE di Lambrate, il partigiano e storico della musica Luigi Pestalozza, rappresentanti dei collettivi della sinistra basca, l’ex detenuta politica nelle carceri USA Silvia Baraldini, l’avvocato Tecla Faranda.
Dell’antifascismo in particolare abbiamo fatto in questi anni un fattore di unità con tutte le sensibilità democratiche. Il nostro antifascismo, che non è né soltanto memoria né limitato al contrasto dell’infiltrazione delle organizzazioni di estrema destra nel nostro Ateneo (contro cui abbiamo lottato registrando dei successi), è per noi progetto di una società futura, di democratizzazione dei rapporti sociali e politici, di risposta ai guasti e alle ingiustizie della storia nazionale. E’ il fondamento dell’Italia progettata dalla Costituzione del 1948 e negata ripetutamente nei decenni, fino ai più recenti episodi dell’aggressione colonialista alla Libia e dell’ascesa per via extraparlamentare del governo dei poteri forti guidato dal capo della Trilaterale in Europa e consulente di Goldman Sachs, Mario Monti. Sulla base di questa concezione dell’antifascismo abbiamo proposto la creazione del Comitato permanente antifascista della Statale, non per organizzare commemorazioni e deposizioni di corone di fiori, ma per dare a tutti gli studenti politicamente impegnati per il progresso in Università uno strumento di comune discussione ed elaborazione di un punto di vista più preciso e definito sui problemi italiani e sulla loro soluzione.
Questi i nostri intenti, questi i nostri risultati. Ci siamo e ci siamo per restare e per rafforzarci come strumento di autodifesa degli studenti di fronte alla crisi e alla macelleria sociale prevista dalla manovra economica in questi giorni sottoposta all’approvazione di un Parlamento umiliato e silente. Ci siamo,autonomi e unitari, realisti e proprio per questo consapevoli che la politica, universitaria e non, non ha senso se non si pone obiettivi alti. Il nostro lavoro, paziente e quotidiano, contribuisce a preparare il mondo nuovo e nuovi rapporti sociali. E’ la sola risposta possibile al sistema che rende precarie le nostre vite e che ci concepisce come merce da cui trarre senza freni il massimo del profitto. Ci siamo da comunisti e per questochiediamo a tutti gli studenti attenti e preoccupati per il proprio futuro di organizzarsi con noi.

Lunedì, 14 Novembre 2011
SILVIA BARALDINI IN STATALE

Giovedì 24 novembre 2011, Aula 109
Via Festa del Pedono 3


Lunedì, 07 Novembre 2011
INTERVISTA A CAMILA VALLEJO, DIRIGENTE STUDENTESCA CILENA E COMUNISTA

Camila Vallejo, militante della Gioventù Comunista Cilena, è presidentessa della Federazione degli Studenti Universitari del paese andino. In questi mesi è stata tra i dirigenti più rappresentativi dell’enorme movimento di massa per un sistema formativo pubblico, gratuito e di qualità. Proponiamo qui la traduzione di una sua intervista come testimonianza di un metodo e di una cultura di lotta che lavoriamo da anni per affermare anche tra gli studenti italiani. NdR

Camila: “Comprendiamo la lotta degli indignati, ma in Cile stiamo superando la fase del malcontento.”

da elmostrador.cl, 25 ottobre 2011

INTERVISTA A CAMILA VALLEJO, DIRIGENTE STUDENTESCA CILENA E COMUNISTA

Camila Vallejo, presidentessa della Federazione degli Studenti Universitari del Cile (CONFECH) afferma che le richieste degli studenti non siano emerse spontaneamente, ma che obbediscano a “un processo lungo basato su un’analisi profonda di quello che succede in Cile, dell’ingiustizia” e ha assicurato che ora “bisogna guardare avanti e costruire un’alternativa per il paese.”

Ha anche manifestato il suo desiderio di “proiettare politicamente questo movimento, perché per la prima volta una rivendicazione settoriale è passata ad essere un movimento sociale che interessa molti settori.”
Dopo circa sei mesi di proteste, il movimento studentesco, che chiede una educazione pubblica gratuita, continua a segnare l’agenda politica del paese. Questo martedì inizierà un nuovo blocco di 48 ore.
Studenti, professori, ambientalisti e la Centrale Unitaria dei Lavoratori, uno dei principali sindacati cileni, sostengono la protesta, che avrà il suo culmine nella manifestazione convocata per mercoledì pomeriggio.
Alla vigilia di queste giornate di mobilitazione, BBC World ha incontrato a Parigi Camila Vallejo, uno dei volti visibili del movimento.
Vallejo, di 22 anni e studentessa di geografia, si trova in Europa insieme ad altri rappresentanti studenteschi cileni per esporre le sue rivendicazioni e tentare di “internazionalizzare” il movimento.

Siete venuti in Europa per incontrarvi con istituzioni internazionali e intellettuali. Dei consigli che vi hanno dato gli intellettuali, quale le è piaciuto di più?

Il filosofo Edgard Morin ci ha dato fiducia. Ci ha detto che l’educazione superiore non può essere legata al mercato, ma che deve essere garantita una educazione pubblica perché i paesi ne hanno bisogno per il loro sviluppo.
E Stéphane Hessel (autore del libro “Indignatevi!”) ci ha spronati a intensificare le comunicazioni e la diffusione delle nostre idee a livello mondiale, a diffondere le nostre proposte con tutti i mezzi.

Parlando di Stéphane Hessel, crede che il movimento studentesco cileno abbia dei tratti in comune con movimenti sociali come quello degli indignati o Occupy Wall Street?

Il movimento studentesco cileno non parte dagli indignati. Non è un movimento spontaneo, ma un processo lungo basato su un’analisi profonda di quello che succede in Cile, dell’ingiustizia.
Comprendiamo la lotta degli indignati, ma in Cile stiamo superando la fase del malcontento. Ora bisogna guardare avanti e costruire un’alternativa per il paese.

Tenendo conto che già esistono proteste studentesche in altri paesi, come crede che si possa internazionalizzare il movimento?

I differenti movimenti – in Cile, Colombia, Brasile, Francia, Spagna – non nascono come copie, bensì hanno delle particolarità.
Ma si visualizzano come un insieme. E’ la lotta di chi si è risvegliato per costruire un modello di società diverso a livello nazionale e internazionale. Esiste una coerenza, rappresentata da una resistenza al modello privatizzatore o un’avanzata in direzione della conquista dei diritti.
In Francia ci siamo incontrati con l’UNEF (Unione Nazionale degli Studenti di Francia). Ci hanno descritto il lavoro di costruzione di coscienza che stanno facendo per resistere alla privatizzazione strisciante portata avanti dal governo. Siamo parte di processi distinti, ma abbiamo gli stessi obiettivi, ed esistono legami di solidarietà internazionale tra la gioventù.

Che modello di educazione propone per il Cile?

Nessuno studente vuole copiare nulla. Il Cile pensa a un modello proprio, che permetta l’integrazione di tutti e che sia gratuito. Vogliamo un’educazione capace di trasformare la società e da cui escano professionisti capaci di costruire la democrazia.

Come vede il futuro del movimento studentesco?

Il movimento studentesco attraversa un momento determinante, dopo cinque mesi di mobilitazione. Bisogna pensare a come avanzare tatticamente per proseguire.
Ad oggi il dialogo col Governo è rotto. Stanno per mettere mano alla riforma delle borse di studio e ci stanno escludendo da questa discussione, che vogliono trasferire in Parlamento.
Sicché, con tutta la fiducia che possiamo avere nel Parlamento, dovremo portare avanti un lavoro nei loro confronti. Vogliamo che non approvino la legge finanziaria finché non ci siano progetti di legge che siano concordati con gli studenti in materia di educazione.

Non crede che il suo protagonismo penalizzi il movimento studentesco nel suo complesso?

La personalizzazione del movimento si deve ai politici e ai mezzi di comunicazione. E’ una strategia utilizzata molto spesso nei confronti di chi porta avanti rivendicazioni sociali. In Cile è molto applicata e credo lo sia anche in altri paesi.
Per Cuba si parla di castrismo e per il Venezuela di chavismo. Tutto viene personificato con presunti leaders, e non si vede che è un processo condiviso da una maggioranza. In definitiva si tratta di distruggere per poi demolire il movimento.
Così siamo stati come più vulnerabili. Sono stata accusata di essere manipolata dal Partito Comunista, di guadagnare sulle interviste che rilascio. Mi è stato detto che sto lucrando su tutto questo.

Lei è sul punto di laurearsi. Pensa di continuare a seguire il movimento, malgrado ciò?

Riguardo alle questioni studentesche continuerò a partecipare, in relazione al risultato delle prossime elezioni della FECh. Vogliamo costruire, io e tutti i miei coetanei che non sono volti visibili. E vogliamo proiettare politicamente questo movimento, perché per la prima volta una rivendicazione settoriale è diventata un movimento sociale che comprende molti settori.

Pensa a una carriera politica?

Io sono una militante e sono disposta a mettermi a disposizione delle necessità di costruzione tanto di questo come di altri movimenti.
Per quanto riguarda le prossime elezioni, penso che non sia tanto una cosa mia, ma che i giovani debbano iscriversi al registro elettorale come candidati consiglieri. Che vadano a contendere i municipi alla destra, o a chi non accetti di corrispondere alle nostre proposte che sono giuste.
Ora i giovani si stanno interessando alla politica e devono assumersi questa responsabilità. Dobbiamo prenderci carico e potare avanti un progetto costruito partecipativamente. E quindi dobbiamo avere una vocazione al potere, ma nel senso buono della parola.


Domenica, 06 Novembre 2011
E’ morta Nori Brambilla Pesce

Oggi, domenica 6 novembre, ci ha lasciati Nori Brambilla Pesce, partigiana, comunista, compagna di vita del comandante Giovanni Pesce, “Visone”.
La ricordiamo insieme ai tanti con cui siamo in debito, ai coraggiosi militanti comunisti che col sacrificio e l’esempio ci hanno insegnato a lottare e ci hanno mostrato il significato profondo della parola “dignità”.
Con l’esempio suo e di tanti altri, la lotta continua. A chi le ha voluto bene, le nostre condoglianze.

Démos – Studenti Comunisti

Per ricordarla attraverso le sue parole:


Martedì, 18 Ottobre 2011
LEGGE REALE? VEDIAMOCI CHIARO!

Dopo gli scontri alla manifestazione del 15 ottobre, tra Antonio Di Pietro e il ministro dell’interno fascio-leghista Maroni è scoppiato l’amore. Motivo? La concordanza su nuove misure repressive. La ricetta per gestire l’ordine pubblico sarebbe ritornare alla legge Reale, provvedimento relativo all’ordine pubblico redatto nel 1975 dal ministro repubblicano Oronzo Reale.

“Si deve tornare alla Legge Reale. Anzi bisogna fare la Legge Reale 2. Non è tempo di rimpalli ma di un’assunzione di responsabilità da parte di tutte le forze politiche per creare una legislazione speciale e specifica che introduca specifiche figure di reato, aggravamento dei reati e delle pene oggi previste, allargamento del fermo e dell’arresto, riti direttissimi che permettano in pochi giorni di arrivare a sentenza di primo grado” ha dichiarato Di Pietro, subito salutato dal plauso della destra più becera e repressiva.

Cosa prevedeva la legge Reale?

l’art. 14 consentiva alle forze dell’ordine di usare legittimamente le armiper «impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona»;
l’art. 3, estendeva il ricorso alla custodia preventiva anche in assenza di flagranza di reato, di fatto permettendo un fermo preventivo di 96 ore (48+48), entro le quali emettere decreto di convalida da parte dell’autorità giudiziaria;
l’art. 5, vietava l’uso del casco e di altri elementi potenzialmente atti a rendere in tutto o in parte irriconoscibili i cittadini partecipanti a manifestazioni pubbliche, svolgentesi in pubblico o in luoghi aperti al pubblico.

Per misurare i gravi effetti e l’elevato costo in termini di vite umanedell’applicazione di questa legge, proponiamo il link a un libro bianco redatto in proposito. Agli studenti di trarre le proprie conclusioni sul provvedimento e su chi lo ripropone:

LIBRO BIANCO SULLE VITTIME DELLA LEGGE REALE


Martedì, 18 Ottobre 2011
IL GRANDE GIOCO AFRICANO

di Manlio Dinucci (da http://www.ilmanifesto.it)

Dopo che il «Protettore Unificato»ha demolito lo stato libico, con almeno 40mila bombe sganciate in oltre 10mila missioni di attacco, e fornito armi anche a gruppi islamici fino a ieri classificati come pericolosi terroristi, a Washington si dicono preoccupati che le armi dei depositi governativi finiscano «in mani sbagliate». Il Dipartimento di stato è quindi corso ai ripari, inviando in Libia squadre di contractor militari che, finanziati finora con 30 milioni di dollari, dovrebbero mettere «in stato di sicurezza» l’arsenale libico. Ma, dietro la missione ufficiale, vi è certo quella di assumere tacitamente il controllo delle basi militari libiche.
Nonostante il declamato impegnodi non inviare «boots on the ground», operano da tempo sul terreno in Libia agenti segreti e forze speciali di Stati uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia, Qatar e altri, che hanno guidato gli attacchi aerei e diretto le operazioni terrestri. Loro compito, ora, è assicurare che la Libia «pacificata» resti sotto il controllo delle potenze che sono andate a «liberarla». Il 14 ottobre, lo stesso giorno in cui il Dipartimento di stato rendeva noto l’invio di contractor in Libia, il presidente Obama annunciava l’invio di forze speciali in Africa centrale, all’inizio un centinaio di militari. Loro compito ufficiale è quello di «consiglieri» delle forze armate locali, impegnate contro l’«Esercito di resistenza del Signore». Operazione finanziata dal Dipartimento di stato, finora, con 40 milioni di dollari. Il compito reale di questi corpi d’élite, inviati da Washigton, è creare una rete di controllo militare dell’area comprendente Uganda, Sud Sudan, Burundi, Repubblica centrafricana e Repubblica democratica del Congo. E mentre gli Stati uniti inviano proprie forze in Uganda e Burundi, ufficialmente per proteggerli dalle atrocità dell’«Esercito del Signore» che si dice ispirato al misticismo cristiano, Uganda e Burundi combattono in Somalia per conto degli Stati uniti, con migliaia di soldati, il gruppo islamico al-Shabab. Sostenuti dal Pentagono che, lo scorso giugno, ha fornito loro armi per 45 milioni di dollari, compresi piccoli droni e visori notturni.
Il 16 ottobre, due giorni dopo l’annuncio dell’operazione Usa in Africa centrale, il Kenya ha inviato truppe in Somalia. Iniziativa ufficialmente motivata con la necessità di proteggersi dai banditi e pirati somali, in realtà promossa dagli Stati uniti per propri fini strategici, dopo il fallimento dell’intervento militare etiopico, anch’esso promosso dagli Stati uniti. E in Somalia, dove il «governo» sostenuto da Washington controlla appena un quartiere di Mogadiscio, opera da tempo la Cia, con commandos locali appositamente addestrati e armati e con contractor di compagnie miltari private. Gli Stati uniti mirano, dunque, al controllo militare delle aree strategiche del continente: la Libia, all’intersezione tra Mediterraneo, Africa e Medioriente; l’Africa orientale e centrale, a cavallo tra Oceano Indiano e Atlantico. Il gioco, apparentemente complicato, diventa chiaro guardando una carta geografica. Meglio su un atlante storico, per vedere come il neocolonialismo somigli in modo impressionante al vecchio colonialismo.


Martedì, 18 Ottobre 2011
MORTO IL POETA ANDREA ZANZOTTO

da http://www.repubblica.it

TREVISO – Il poeta Andrea Zanzotto è morto oggi all’ospedale di Conegliano Veneto. Il 10 ottobre aveva compiuto 90 anni. Zanzotto era stato ricoverato ieri per difficoltà respiratorie.

Nato a Pieve di Soligo nel 1921, Zanzotto partecipò alla Resistenza nella fila di Giustizia e Libertà, occupandosi del settore stampa e propaganda. A guerra finita emigrò in Svizzera e in Francia per un anno, rientrando alla fine del 1947 e ripartendo dalla scuola, dove aveva iniziato l’insegnamento poco prima della guerra. Per la sua produzione artistica, cominciata in giovane età, fu decisiva la partecipazione, nel 1950, al premio San Babila. La giuria, composta dai più grandi poeti italiani dell’epoca (Ungaretti, Montale, Quasimodo, Sinisgalli e Sereni), gli attribuì il primo premio per una serie di scritti poetici che saranno pubblicati un anno dopo con il titolo Dietro il paesaggio”.

Nel giorno del suo 90° compleanno era stato intervistato dal Tg3 del Veneto nella sua casa di Soligo: “Che cosa si capisce della vita dopo 90 anni? Niente – aveva risposto al giornalista – . Per dire parole che valgano la pena bisognerebbe almeno averne 900 di anni…”.

“Non ho nulla da dire”, ha detto all’agenzia Asca Luciano Cecchinel, che Zanzotto considerava il suo erede.
“Avevo sentito per telefono Andrea tre giorni fa e l’avevo sentito in difficoltà, come però era capitato altre volte.
Nulla lasciava presagire il peggio”.

Morte delle morti
scheletri rimasti delle stesse fiamme
paralizzate
di cui siete l’imprevedibile
filiazione,
forte spinta a città di malora
città perduta,
tanto morte da essere impegnata
a farsi fantasma di sé stessa,
che stridi muta
tuoi gerghi anche
nell’annientamento protervi
di chimici spettri
mal protesi nervi

(Andrea Zanzotto)

Lunedì, 17 Ottobre 2011
La Germania è contro l’Euro, anche se nessuno lo dice!

Pubblichiamo un contributo sulla crisi dell’eurozona del nostro compagno Mattia Tagliaferri, studente di Storia alla Statale e candidato alle elezioni svizzere nelle liste del Partito Comunista.
(da http://www.sinistra.ch)

La Germania è contro l’Euro, anche se nessuno lo dice!La crisi finanziaria ed economica che sta travolgendo tutto il mondo occidentale dal non più così vicino 2008, si è ora trasformato in una crisi del debito, a causa dei grandissimi investimenti statali fatti dai vari paesi per salvare le proprie banche dal fallimento: miliardi e miliardi tra franchi, euro, sterline e dollari che la comunità ha di fatto regalato al mondo finanziario, senza nemmeno avere la lungimiranza di pretendere in cambio anche solamente dei paletti alla speculazione. Evidentemente le lobby bancarie presenti in governi e parlamenti sono troppo forti.

Indubbiamente quei paesi che già precedentemente avevano un elevato debito pubblico in rapporto al proprio Prodotto Interno Lordo (PIL) e una struttura economica fragile – pensiamo al Portogallo, all’Irlanda, all’Italia, alla Grecia e alla Spagna (i cosiddetti PIIGS) – si trovano ora con maggiori problemi rispetto agli altri. La forte crisi di questi stati, sommata alla speculazione che il mondo finanziario, soprattutto quello statunitense, sta attuando contri di essi, ha creato una grande instabilità per l’Euro, che si è ritrovato ai minimi storici sia nei confronti del dollaro americano sia nei confronti del franco svizzero: chissà a quale rapporto di valute saremmo ora se la Banca Nazionale Svizzera (BNS), non avesse varato la misura del blocco a 1,20, a causa della quale stiamo bruciando miliardi: e questo non va dimenticato, perché non è che tale misura sia tutte rose e fiori, come cercando di farci credere gli esperti economisti della BNS e gli infausti analisti dell’Unione Sindacale Svizzera (USS), che vorrebbero il blocco addirittura all’1,40.

Il vero nodo della questione sull’Euro – e conseguentemente anche sul futuro dell’Unione Europea (UE) – che vede nella moneta unica il solo suo vero collate, passa però dalla Germania, il motore del Vecchio Continente, la cui politica economica e internazionale è in questo momento la principale discriminante sulla tenuta futura della moneta unica.

Tanto per cominciare il cancelliere Angela Merkel è la principale artefice della manovra europea che ha dato vita all’ormai famosissimo fondo salva-stati, il quale può apparire – con una prima e superficiale analisi – un elemento di solidarietà che permette agli stati in piena crisi di avere accesso ad una liquidità che non potrebbero più reperire sul mercato finanziario, a causa della bassa efficienza marginale dei capitali che poi reinvestirebbero nell’economia reale o che perlomeno utilizzerebbero per coprire i propri debiti (in sostanza si parla di un problema legato alla fiducia dei mercati); una più attenta analisi può però far emergere tre diversi elementi che permettono una chiave di lettura completamente diversa su quanto sta accadendo.

Va innanzitutto detto che i soldi investiti dai tedeschi nel fondo salva-stati, volto in primis a salvare la Grecia, non sono assolutamente privi di un secondo fine: le banche tedesche sono infatti molto scoperte dalle speculazioni fatte in Grecia, le quali mettono di riflesso a rischio la liquidità delle stesse; questo vuol dire che una parte del denaro girato agli ellenici per il loro salvataggio, torna in Germania nelle casse delle banche (con i francesi succede quasi la stessa cosa, anche se in tono minore: non a caso Nicolas Sarkozy è stato uno degli altri artefici della creazione del fondo salva-stati); mettendo così in atto un secondo salvataggio pubblico della finanza privata tedesca che – a differenza di quello precedente – non viene fatto alla luce del sole ma camuffandosi da filantropico aiuto: il governo tedesco sa bene che un ulteriore salvataggio, percepito come tale dall’opinione pubblica, non sarebbe stato molto ben accetto e conseguentemente il rischio di una non rielezione di Merkel alle prossime elezioni potrebbe diventare un vero e proprio spauracchio.

Il secondo particolare aspetto dell’operazione fondo salva-stati è quello di una perversa struttura – e conseguentemente funzionamento – volto a un indiretto sfaldamento degli attuali paradigmi della moneta unica. Ilfondo salva-stati viene infatti finanziato dagli stati dell’eurozona, seguendo quelle che sono le percentuali partecipative dei singoli paesi alla Banca Centrale Europea (BCE); in termini concreti vuol dire che il prestito ricevuto dai greci – e sottolineamo il fatto che sia un prestito, per cui con dei tassi di interesse che si aggirano al 4% – è formato anche dai versamenti di paesi come la Spagna, i quali vivono a loro volta con dei problemi di liquidità: questo vuol dire che Madrid può reperire i fondi da girare ad Atene solamente sul mercato finanziario, dove i tassi di interesse si attestano oggi attorno al 6%, per cui meno vantaggiosi rispetto a quanto viene imposto da Bruxelles con il fondo salva-stati.

Evidentemente un paese in crisi come la Grecia non riuscirà a restituire ai loro creditori il debito creatosi, se non gli interessi maturati che – come visto – sono inferiori rispetto a quelli del mercato finanziario; la Spagna non può così che registrare una grave perdita da questa operazione, non potendo a lungo andare che richiedere lei stessa un salvataggio al fondo salva-stati. A questo salvataggio dovranno però partecipare anche gli altri paesi in crisi, rimettendo in gioco il perverso sistema appena descritto, il quale si trasforma in un circolo vizioso assolutamente azzoppante per quell’Europa con più difficoltà (per non parlare delle misure d’austerità imposte agli anelli deboli).

Sul lungo periodo, ma nemmeno troppo, un paese come quello greco non potrà che costringersi all’uscita da questo fondo e dai suoi meccanismi distruttivi, oppure chiedere di stravolgerne la struttura per così pagare meno. Ad una situazione del genere la locomotiva tedesca non può che essere già pronta, avendo lei stessa scatenato la creazione delle condizioni precedentemente descritte, per cui non avranno problemi ad avanzare grosse lamentele – che già oggi cominciano a trasparire – legate al fatto che si stanno accollando buona parte dei debiti dei paesi continentali più instabili: cosa evidentemente – per la questione dell’esposizione delle banche tedesche in molti di questi paesi, descritta nelle prime righe – vera soltanto fino a un certo punto.

Di palese c’è però il fatto che il discorso, tutto sommato populista, del “stiamo pagando per tutti”, porterà l’opinione pubblica germanica – al contrario di quanto accadrebbe oggi – a sostenere la proposta di escludere dall’Euro un paese come la Grecia. L’effetto domino di un simile scenario è assicurato, per cui anche gli altri PIIGS (e forse altri ancora) non si sentiranno più in dovere di contribuire al fondo salva-stati – di cui oggi si vuole, soprattutto dai tedeschi, un potenziamento che accelererebbe le dinamiche qui denunciate – e la Germania non si sentirà in colpa per tentare di escluderli: o per meglio dire, il Governo non avrebbe più ripercussioni elettorali se applicasse misure così radicali.

Il fallimento dell’eurozona – almeno nella forma in cui la conosciamo oggi – non è quindi così lontana, e con essa tutta l’UE, che si sta dimostrando un progetto assolutamente fallimentare.
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Mercoledì, 28 Settembre 2011
CUEM: DIFENDERE I POSTI DI LAVORO E IL PLURALISMO

CUEM: DIFENDERE I POSTI DI LAVORO E IL PLURALISMODémos SC esprime la propriasolidarietà ai lavoratori della libreria CUEM nel momento in cui si concretizza la possibilità della sua chiusura.

La scomparsa di quella che è a tutti gli effetti un’istituzione della nostra Università rappresenta unaminaccia al pluralismo della cultura nell’Ateneo, aprendo la via a un monopolio ciellino che non possiamo accettare.

Chiediamo con forza alla proprietà di recedere dall’intento e alle istituzioni accademiched’intervenire a tutela dei posti di lavoro della CUEM e del pluralismo nella diffusione della cultura all’interno dell’Università.


Sabato, 24 Settembre 2011
COMINCIA L’A.A. 2011-12, TRA CRISI, GUERRA E REGRESSO DEMOCRATICO

Presto nei locali della nostra facoltàriprenderanno i corsi. Il rientro dalle vacanze ci accoglie quest’anno più denso che mai d’incertezze, tensioni, problemi.
I potentati del capitalismo speculativo e le istituzioni antidemocratichedell’Unione Europea dettano le loro ricette per contrastare la crisi: tagli, aumento della precarietà, diminuzione della democrazia. Il governo italiano ha già obbedito, varandodue manovre estive di macelleria sociale che non mancheranno diaggravare le condizioni di vita di noi studenti.
Intanto l’aggressione imperialista continua in Libia. I bombardieri NATO proseguono nella loro opera di omicida di demolizione del paese africano per mettere le mani sulle sue risorse naturali. Un’altra sporca guerra per il petrolio, ma questa volta coperta dall’agghiacciante silenzio dell’opinione pubblica.
Alla Statale, in tutto questo, ci si prepara all’entrata in vigore del nuovo Statuto, con la sua logica privatistica e il suo CdA onnipotente con tanto di consiglieri “legati al mondo delle imprese”.
Tanti fronti su cui impegnarsi, ma nessuno cui si possa rinunciare. L’invito a tutti gli studenti è di organizzarsi con noi, opporsi, dire la propria, partecipare. Perché se di tutto questo non ci occupiamo subito insieme, finiremo per pentircene poi individualmente.


Lunedì, 02 Maggio 2011
Lunedì 2 maggio: nuova provocazione fascista contro Démos SC

“Prima vennero per gli ebrei
e io non dissi nulla perché
non ero ebreo.
Poi vennero per i comunisti
e io non dissi nulla perché
non ero comunista.
Poi vennero per i sindacalisti
e io non dissi nulla perché
non ero sindacalista.
Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno
che potesse dire qualcosa.”

Oggi, lunedì 2 maggio 2011, per la terza volta in tre settimane la nostra bacheca collocata nell’atrio del polo didattico di via Festa del Perdono è stata trovata imbrattata con una svastica. Si tratta dell’ennesimo atto intimidatorio e di provocazione contro Démos SC, nota come una delle organizzazioni studentesche più attive e coerenti nell’impegno antifascista dentro il nostro Ateneo.
Gli atti intimidatori e le provocazioni neofasciste in Università non si limitano però solo all’imbrattamento della nostra bacheca. Ripercorriamo gli episodi dell’ultimo mese:

– Lunedì 11 aprile le bacheche di Démos SC e Sinistra Universitaria collocate nell’atrio del plesso di via Festa del Perdono venivano trovate imbrattate con svastiche. Su un altro spazio di affissione collocato non lontano veniva trovata la scritta “Blocco studentesco presente!”. Alla denuncia congiunta delle due organizzazioni, riportata anche dal quotidiano “la Repubblica”, rispondeva la smentita da parte di Casa Pound, che contrattaccava accusando i “collettivi di sinistra” di “seminare odio”;
– Negli stessi giorni numerose croci celtiche comparivano sui muri all’interno del polo didattico di via Festa del Perdono, alcune delle quali accompagnate dalla sigla del “Blocco Studentesco”. La più vistosa è tuttora visibile sul muro accanto alla porta che collega il chiostro del Filarete con l’atrio antistante l’Aula Magna;
– Nella notte tra martedì 26 e mercoledì 27 aprile via Festa del Perdono veniva invasa da manifesti recanti croci celtiche a firma “i camerati”, che lanciavano la manifestazione in memoria di Ramelli e Pedenovi. Come noto la manifestazione, tenutasi venerdì 29 aprile, si è conclusa con il gravissimo assalto di una sessantina di teste rasate al convegno antifascista che si teneva nelle stesse ore allo spazio Guicciardini.
– Mercoledì 27 il materiale antifascista esposto sulla bacheca di Démos SC veniva trovato imbrattato con svastiche e scritte inneggianti a Mussolini e alla repubblichina di Salò.

Il silenzio delle autorità accademiche

A seguito dell’imbrattamento dei muri dell’Università, Démos SC e Sinistra Universitaria hanno depositato in rettorato un esposto congiunto che richiede la cancellazione dei simboli fascisti dai muri, la pubblica condanna da parte dell’amministrazione accademica e maggiore attenzione nei confronti del tentativo d’infiltrazione tra gli studenti di gruppi d’estrema destra che operano ai limiti della legalità. Ad oggi non si hanno notizie di una risposta da parte del rettorato.
Auspichiamo che il clima di provocazione creato dai fatti elencati spinga l’amministrazione accademica, spesso assai solerte nell’intraprendere iniziative repressive contro gli studenti in lotta per i propri diritti, a dedicare maggiore attenzione alla tutela del decoro e della vivibilità democratica dell’Ateneo contro il neofascismo che tenta di conquistarvi spazi.

Cosa chiediamo

Démos SC sollecita tutte le organizzazioni studentesche a esprimersi contro i gravi avvenimenti denunciati, chiede alle autorità accademiche di fare la loro parte a tutela del decoro e della vivibilità dell’ambiente universitario e invita tutti gli studenti, i lavoratori, i docenti a tenere alta la guardia antifascista.
Auspichiamo che il lavoro per la costituzione del Comitato Permanente Antifascista della Statale produca a breve i suoi frutti, nell’interesse di tutti gli studenti.


Domenica, 01 Maggio 2011
Versi per il Primo Maggio 2011 – Miguel HERNANDEZ: “Andalusi di Jaen”

Versi per il Primo Maggio 2011 – Miguel HERNANDEZ: Come nostra tradizione, anche quest’annodedichiamo a tutti i Lavoratori i versi di un grande poeta comunista per festeggiare la Giornata internazionale della loro unità.
Quest’anno abbiamo scelto un componimento di Miguel Hernandez, poeta e militante comunista spagnolo assassinato nelle carceri franchiste nel 1940. Esso ci ricorda una verità mai abbastanza ripetuta: il frutto del lavoro appartiene interamente a chi lavora; nel capitalismo esso è oggetto di un vero e proprio furto da parte dell’oligarchia che detiene i mezzi di produzione. Su questa consapevolezza noi comunisti vogliamo costruire le basi per il mondo nuovo. NdR

ANDALUSI DI JAEN

Andalusi di Jaén,
olivicoltori alteri,
ditemi in coscienza, chi,
chi ha cresciuto gli olivi?

Non li ha cresciuti il nulla,
né il denaro, né il padrone,
ma la terra silenziosa,
il lavoro e il sudore.

Uniti all’acqua pura
e alle fasi dei pianeti
i tre diedero la bellezza
dei tronchi contorti.

Lèvati, olivo canuto,
dissero al piede del vento.
E l’olivo alzò una mano
poderosa dalle radici.

Andalusi di Jaén,
olivicoltori alteri,
ditemi in coscienza, chi,
chi ha allattato gli olivi?

E’ il vostro sangue, la vostra vita
non quella dello sfruttatore
che si adornò della ferita
generosa del sudore.

Non quella del latifondista
che vi seppellì nella povertà,
che vi calpestò la fronte,
che vi costrinse a chinare il capo.

Alberi che il vostro affanno
consacrò centro del giorno
erano l’origine di un pane
che solo l’altro mangiava.

Quanti secoli d’olive,
piedi e mani imprigionati
sole per sole luna per luna
gravano sulle vostre ossa

Andalusi di Jaén,
olivicoltori alteri,
chiede l’anima mia, di chi
sono mai questi olivi?

Jaén, levati coraggiosa
sulle tue pietre lunari
non rassegnarti a essere schiava
con tutti i tuoi olivi.

Nella chiarezza
dell’olio dei suoi aromi,
essi indicano la tua libertà
la libertà dei tuoi colli.

(trad. dal castigliano: Alessio Arena)


Domenica, 01 Maggio 2011
Il primo 25 Aprile unitario degli studenti della Statale

Questo 25 Aprile ha segnato un traguardo: la prima tappa dell’unità antifascista in Università è stata raggiunta. Molto c’è ancora da lavorare e la notizia dell’aggressione fascista all’assemblea dello Spazio Guicciardini del 29 Aprile, come pure il susseguirsi di provocazioni quali i due imbrattamenti con slogan e simboli neonazisti subiti dalla nostra bacheca nell’atrio del polo di via Festa del Perdono segnalano la difficoltà del momento. Dovere nostro è andare avanti, senza timidezze. Lo faremo.

Milano, 25 Aprile 2011: lo spezzone unitario della Statale alla manifestazione per la Festa della Liberazione.


Domenica, 24 Aprile 2011
25 Aprile: la Statale unita in manifestazione

Quest’anno per la prima volta gli studenti della Statale parteciperanno uniti al 25 Aprile!

Appuntamento alle 14.30 a Milano, Piazza Oberdan – Bastioni di Porta Venezia.

Cercateci dietro lo striscione

UNIVERSITA’ STATALE
PARTIGIANI IN OGNI FACOLTA’


Domenica, 24 Aprile 2011
Per il 25 Aprile: ULTIME LETTERE DI WALTER FILLAK, condannato a morte della Resistenza

Commemoriamo quest’anno la Liberazione con le ultime lettere di Walter Fillak, studente ventiquattrenne e partigiano comunista impiccato nel 1945. Esse rappresentano una testimonianza di dignità e di assoluta consapevolezza dei propri compiti e del prezzo da pagare per assolverli.
Il popolo italiano ha ancora un debito aperto con le decine di migliaia di compagni che, come Walter, hanno versato il sangue, rinunciato alla vita e alle sue infinite attrattive per lasciare al prossimo il germoglio di una società giusta e libera.
In questo periodo oscuro della storia nazionale dobbiamo impegnarci a prendere esempio da loro, dalla loro umiltà, dalla loro disciplina per riuscire ad affrontare criticamente e a rispondere agli strilli dei tanti demagoghi che, proclamando la morte delle ideologie e scagliandosi contro il concetto stesso della politica organizzata attraverso i partiti, ci stanno trascinando a vele spiegate verso l’autoritarismo e il definitivo collasso di quel poco che è sopravvissuto della democrazia nata dalla Resistenza dopo cinquant’anni di DC, Pentapartito, berlusconismo e abiure interessate nel campo del centrosinistra.

Walter Fillak

Per il 25 Aprile: ULTIME LETTERE DI WALTER FILLAK, condannato a morte della ResistenzaDi anni 24–studente – nato a Torino il 10 giugno 1920. Espulso ­dal Liceo Scientifico di Genova per professione di idee antifasciste e costretto a studiare privatamente – alla facoltà di chimica indu­striale dell’Università di Genova fonda, nell’inverno 1940-41,una cellula comunista studentescain collegamento con le cellule di Tori­no, Casale, Livorno e Roma e stabilisce primi contatti con gli operai di Sampierdarena – nel 1942arrestato una prima volta dall’OVRA in­sieme a tutto il direttivo genovese del Partito Comunista Italiano – tradotto nelle carceri cittadine – trasferito nelle carceri di Apuania, poi nelle carceri Regina Coeli in Roma a disposizione del Tribunale Speciale – liberato dopo il 25 luglio 1943 – nel settembre 1943 è a Torino ove organizza in nuclei operativi militari sbandati – partigia­no a Pian di Castagna (Acqui) – comandante di distaccamento nei dintorni di Genova – vice-commissario politico della 3ª Brigata Ga­ribaldi «Liguria» sull’altipiano di Marcarolo (Genova) – protagoni­sta di numerose missioni e colpi di mano a Genova insieme al com­pagno Buranello che il 2 marz0 1944sarà preso e fucilato – dopo un’azione in forza di tedeschi e fascisti che disperdono la brigata, si porta ad Acqui, poi a Milano – braccato, tenta di passare in Jugosla­via – non riuscendovi passa in Svizzera – ne rientra dopo tre mesi –è commissario politico nella zona di Cogne (Valle d’Aosta) e coman­dante della VII Divisione Garibaldi operante nella Bassa Valle d’Aosta, nel Canavesano e nel Biellese –. Catturato la notte fra il 29 e il3o gennaio 1945 in località Lace (Ivrea), con i membri del suo comando che saranno tutti fucilati, in seguito ad imboscata di repar­to tedesco guidato da un delatore. Processato il 4 febbraio 1945 dal Comando Militare tedesco di Cuorgnè (Torino). Impiccato alle ore 15 del 5 febbraio 1945 lungo la strada di Alpette nei pressi di Cuor­gnè – spezzatosi il cavo, l’esecuzione viene sospesa e dopo qualche tempo ripetuta.

4.2.1945

Mio caro papà,

per disgraziate circostanze sono caduto prigioniero dei tedeschi.
Quasi sicuramente sarò fucilato.
Sono tranquillo e sereno perché pienamente consapevo­le d’aver fatto tutto il mio dovere d’italiano e di comunista.
Ho amato sopra tutto i miei ideali, pienamente coscien­te che avrei dovuto tutto dare, anche la vita; e questa mia decisa volontà fa sì che io affronti la morte con la calma dei forti.
Non so altro che dire.

Il mio ultimo abbraccio

Walter

Il mio ultimo saluto a tutti quelli che mi vollero bene.

Mia cara mamma,

è la mia ultima lettera. Molto presto sarò fucilato. Ho combattuto per la liberazione del mio Paese e per affermare il diritto dei comunisti alla riconoscenza e al rispetto di tutti gli Italiani. Muoio tranquillo perché non temo la morte.

Il mio abbraccio a te e Liliana, saluta la mia fidanzata Ines. Addio

Walter


Venerdì, 15 Aprile 2011
Sull’assassinio di Vittorio Arrigoni

La nostra Associazione si unisce al lutto per l’assassinio di Vittorio Arrigoni a Gaza. Pubblichiamo in proposito un articolo tratto dal sito del Forum Palestina.

Sull’assassinio di Vittorio ArrigoniLe cause e la dinamica del sequestro e dell’uccisione di Vittorio Arrigoni, attivista e corrispondente del movimento internazionale di solidarietà con la Palestina da Gaza, sono in corso di ricostruzione. Alcune informazioni e alcune valutazioni possono però essere indicate sin da ora.

Vittorio era in procinto di rientrare in Italia per poter collaborare alla missione della Freedom Flotilla che a maggio intende rompere l’assedio della popolazione palestinese di Gaza, un assedio che Vittorio ha sistematicamente denunciato e documentato da anni.

Vittorio è stato trovato già morto quando la polizia palestinese, aiutata dalla popolazione, era riuscita a trovare il posto dove era tenuto sequestrato. L’ultimatum di 30 ore dunque era solo pretestuoso. I sequestratori sono giovanissimi, di cui almeno uno è cittadino giordano e non palestinese.

Il gruppo che ha sequestrato e ucciso Vittorio appartiene alla galassia dei gruppi islamici salafiti, molto diversi dalla corrente dell’islam politico a cui fa riferimento il movimento Hamas che governa la Striscia di Gaza. Questi gruppi sono molto più attivi contro le altre correnti islamiche e i regimi arabi – accusati di apostasia – che contro l’occupazione israeliana della Palestina o la presenza militare USA in Medio Oriente.

Alcuni di questi gruppi islamici appartengono al network dell’islam politico che fa riferimento, viene finanziato e armato dall’Arabia Saudita. Alcuni di questi gruppi hanno già provocato scontri e serissimi problemi nei campi profughi palestinesi in Libano.

In queste settimane in cui le alleanze in Medio Oriente vengono bruscamente rimescolate dalle rivolte popolari e dalle tensioni in tutta la regione, la monarchia saudita ha stretto una alleanza con Israele all’insegna del comune nemico rappresentato dall’Iran e dalla sua influenza nella regione del Golfo e in Medio Oriente. Questa alleanza è stata rinsaldata in un recente vertice a Mosca nel quale erano presenti sia Netanyahu che i dirigenti dei servizi di sicurezza sauditi.

In queste settimane le autorità israeliane hanno avviato una campagna di intimidazione contro gli attivisti e le campagne internazionali di solidarietà con la Palestina, in particolare contro la Freedom Flotilla che partirà a maggio diretta a Gaza e la campagna di Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni verso Israele. Le autorità israeliane hanno chiesto ai governi dei paesi da cui partiranno le navi o in cui sono attive le campagne di boicottaggio di intervenire contro gli attivisti. Il premier italiano Berlusconi ha già raccolto la richiesta del governo di Israele. I servizi di sicurezza israeliani si sono attivati per utilizzare ogni mezzo necessario per tenere gli attivisti internazionali alla larga da Gaza e dalla Palestina.

Non abbiamo tutte le prove, ma riteniamo che il sequestro e l’uccisione di Vittorio possa rientrare in un lavoro sporco realizzato dai gruppi islamici legati al network dell’Arabia Saudita oggi alleata di Israele. Il messaggio agli attivisti internazionali è chiaro e inquietante: “State lontani da Gaza, state lontani dalla Palestina”, “Nessuna internazionalizzazione sulla questione palestinese verrà tollerata dal le autorità di Tel Aviv e dai suoi alleati”.

Vogliamo mandare un messaggio chiaro e forte a tutti coloro che in Israele o nel mondo arabo, in Europa o negli Stati Uniti intendono stringere il cappio dell’isolamento e della liquidazione intorno al diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese: non ci fermerete fino a quando in Palestina non ci sarà il pieno riconoscimento dei diritti dei palestinesi. Lo dobbiamo a questo popolo che lotta per la sua libertà da sessanta anni e adesso lo dobbiamo anche a Vittorio.

Il Forum Palestina

http://www.forumpalestina.org


Martedì, 12 Aprile 2011
Comunicato congiunto Démos – SU sull’imbrattamento con simboli nazisti delle bacheche in FdP

Segue il testo del comunicato congiunto Démos-SU sull’imbrattamento delle bacheche collocate nell’atrio del plesso di via Festa del Perdono con simboli nazisti.

Questa mattina, lunedì 11 aprile, abbiamo trovato delle svastiche tracciate sulle bacheca di Sinistra Universitaria e di Demos Studenti Comunisti nel polo di Via Festa del Perdono. Su un’altra bacheca è stata rinveuta la rivendicazione da parte delmovimento neofascista Blocco Studentesco. Esprimiamo indignazione e disgusto per questo gesto intimidatorio. Quel simbolo, emblema diun’ideologia distruttiva, odiosa e carica di colpe storiche gravissime, segnala la presenza all’interno della nostra Università di movimenti incivili e striscianti, che operano al limite della legalità e gettano un’ombra preoccupante sull’intera vita universitaria del nostro ateneo.
Sinistra Universitaria e Demos Studenti Comunisti continueranno a battersi per portare avanti un’idea di università pubblica, libera, laica e antifascista, senza lasciarsi minimanete intimidire, a cominciare dal lavoro comune per preparare un 25 aprile in cui gli studenti del nostro Ateneo si mobilitino uniti per affermare ancora una volta l’antifascismo come fondamento della nostra Repubblica.

Lunedì, 11 Aprile 2011
Imbrattate con simboli nazisti le bacheche di Démos SC e SU

Come risulta dalle fotografie anche la bacheca di Démos SC, come quella di SU collocata accanto, è stata imbrattata con simboli nazisti. Su un altro spazio di affissione, poco lontano, si può leggere la scritta “Blocco studentesco, presenti!”.
L’evidente provocazione, attuata alla vigilia della Festa della Liberazione, non resterà senza risposta. Risponderemo con la mobilitazione antifascista unitaria, cui speriamo si associno tutti i democratici, per impedire che questi loschi figuri, eredi della pagina più ripugnante della storia dell’umanità, riescano a creare in Università un clima d’intimidazione e intolleranza.

Seguirà comunicato congiunto Démos-SU.

Domenica, 03 Aprile 2011
ANTIFASCISMO RESISTENZA COSTITUZIONE


Lunedì, 21 Marzo 2011
Contro la guerra coloniale in Libia

di Alessio Arena

L’aggressione occidentale contro la Libia è cominciata. L’Italia vi prende parte nel modo più ignobile, stracciando unilateralmente un trattato di amicizia e cooperazione firmato da appena un anno, che aveva fruttato all’ENI l’accesso privilegiato alle vaste risorse petrolifere del Paese. E’ stato sufficiente il richiamo all’ordine da parte del padrone a stelle e strisce perché l’intera nostra classe politica rinnegasse una strategia di cui gli ultimi capitoli scritti da Berlusconi non sono stati che l’epilogo, ma le cui radici affondavano molto indietro nel tempo, nell’era Craxi, passando poi per Prodi e D’Alema. Ora il nostro Paese fa la sua parte in un intervento militare che ha come chiaro obiettivo quello di riportare la Libia al medioevo, distruggerne le infrastrutture e infrangerne la potenzialità, in modo da ricondurla sotto il giogo del dominio neocoloniale.
Non è un caso che la ribellione contro la Giamahiria si raccolga sotto la bandiera tricolore di quella monarchia asservita agli anglo-americani che aveva fatto da succedaneo e garantito la continuità tanto della spartizione del Paese in due aree d’influenza (inglese al nord, francese al sud) quanto dell’estendersi della longa manus italiana su quell’ex-colonia che tante sofferenze aveva patito sotto il dominio coloniale dell’Italia liberale prima, fascista poi. Il tutto con il non trascurabile corollario dello stanziamento di una presenza militare permanente degli Stati Uniti d’America.
La rivoluzione condotta da Gheddafi nel 1969, ispirata ai principi del socialismo arabo elabortati nel vicino Egitto da Nasser, ha avuto il merito di mettere fine proprio a questa condizione storica di prostrazione e asservimento, schiudendo alla Libia la via della piena indipendenza e dello sviluppo di un sistema istituzionale originale, sicuramente non esente da fragilità, ma capace di tradurre in una forma statuale organizzata la struttura tribale della società nazionale.
Significa questo incensare Gheddafi o negare per la Libia possibilità di maggiore sviluppo della democrazia sul piano sociale e politico? Evidentemente no. Significa però affermare con chiarezza che l’intervento occidentale al fianco dei ribelli, la catastrofe umanitaria che esso causerà, la distruzione della capacità di controllo del territorio da parte dello Stato libico, sono funzionali a imporre la balcanizzazione del Paese, spezzettarlo di nuovo in aree d’influenza ingovernabili e in preda a conflitti tribali alimentati ad arte da americani ed europei per trarre in tutta libertà il massimo del profitto dall’incontrollato sfruttamento delle sue risorse naturali. Una strategia non nuova, ma che negli ultimi tempi ha trovato ampia applicazione nel continente africano, dal Sudan alla Somalia.
A chi scrive pare appena il caso di soffermarsi sulle stridule e ipocrite voci che, da sinistra, plaudono all’intervento militare contro il “mostro” di turno. Esse vengono da dirigenti e forze politiche il cui opportunismo, ormai non più frenato nemmeno da un barlume di pudore, altro obiettivo non si pone che l’accreditamento come soggetti “di governo” agli occhi di un’Alleanza Atlantica che non solo non si ha più intenzione di mettere in discussione, ma che al contrario è ormai riconosciuta come attore positivo sulla scena internazionale.
Pochi giorni fa si è celebrato il 150° anniversario dell’unità d’Italia. In quell’occasione le autorità dello Stato, a partire dal Presidente della Repubblica, hanno coscientemente voluto sancire la continuità tra l’Italia di oggi e quella, nata nel 1861, figlia della vittoria della borghesia liberale sulle correnti democratiche del Risorgimento, frutto del prevalere dei Savoia sulle altre monarchie territoriali italiane e legata alle pulsioni più oscure della società nazionale. Proprio quell’Italia ha prodotto nel passato le guerre coloniali. Proprio da essa ha avuto origine il fascismo.
Noi ci riteniamo figli di un’altra Italia, la cui rinascita prepariamo giorno dopo giorno con le nostre lotte e l’impegno quotidiano, individuale collettivo. La nostra Italia è quella del CLN, l’Italia della Resistenza che, liberata dal nazismo e dal fascismo il 25 aprile 1945, ha inteso segnare nell’articolo 11 della propria Costituzione la rottura con le pulsioni guerrafondaie e imperialiste del passato, ripudiando la guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali e di offesa alla libertà degli altri popoli. Constatiamo, con la partecipazione delle nostre forze armate all’aggressione contro la Libia, il prevalere dell’Italia del 1861 su quella del 1945, come pure l’adesione di tutto l’arco parlamentare alle più torbide tradizioni dell’imperialismo straccione che in passato ha animato le nostre avventure coloniali in Libia, Somalia, Etiopia, Eritrea e Albania. L’impegno che profonderemo nella lotta contro questa guerra non sarà dunque ispirato a un generico pacifismo senza analisi, ma all’affermazione della volontà di riaprire al nostro Paese la via dell’indipendenza e della solidarietà internazionale che sono gli elementi più nobili dell’eredità del Risorgimento e della Resistenza.


Mercoledì, 02 Marzo 2011
La Costituzione italiana al tempo della crisi

di Alessio Arena

(Articolo pubblicato su Inchiostro Rosso, periodico del Partito Comunista del Canton Ticino – Svizzera)

La Costituzione italiana al tempo della crisiLa difesa della Costituzione repubblicana rappresenta un tema ricorrente nel dibattito pubblico italiano, riproposto ciclicamente da tutto l’arco delle forze di opposizione al Governo Berlusconi e declinato nelle forme e coi contenuti più diversi. In realtà, per il Partito Democratico, e conseguentemente per l’attuale direzione della Confederazione Generale Italiana del Lavoro, il tema reale non è tanto la salvaguardia del dettato costituzionale, quanto la maniera in cui modificarlo. Non a caso il dettato del 1948 è già stato modificato nel 2001 dal centrosinistra, con una riforma delle autonomie locali che ha significativamente alterato l’equilibrio dei poteri e delle attribuzioni tra Stato ed enti territoriali. Resta fermo per tutti (destra compresa) il proposito dichiarato di non modificare la prima parte della Carta, quella riguardante i principi e i diritti fondamentali, anche se proprio ad essa si riferiva Berlusconi nel definire la nostra una Costituzione “di stampo sovietico”.
Risulta però evidente che la ridefinizione dell’organizzazione dello Stato comporta una profonda alterazione del significato di quella prima parte. L’attribuzione dei poteri e il decentramento delle competenze attribuiscono (o sottraggono) un contenuto concreto a principi quali quello dell’esercizio della sovranità popolare o dell’eguaglianza sostanziale tra i cittadini. La posizione più condivisibile da un punto di vista progressivo risulta dunque essere quella che difende la Carta nella sua formulazione attuale e che anzi, chiede che si ritorni alla definizione dei poteri degli enti locali antecedente alla riforma del 2001.
E’ necessario a questo punto chiarire due punti: innanzitutto, da quale contesto è nata la Costituzione italiana? E conseguentemente, qual è il suo contenuto?
Alla prima domanda, ogni cittadino italiano dotato di memoria storica risponderà senza esitare che la Costituzione è nata dalla Resistenza antifascista. E’ necessario però individuare i caratteri di classe del processo storico di cui la Resistenza fu il culmine, per restituire senso all’affermazione. Il piattume banalizzante che ha avvolto come formalina la coscienza storica degli italiani, vuole che l’inizio della Resistenza sia da fissare alla fine del 1943, dopo l’armistizio firmato dal Governo Badoglio con gli Alleati anglo-americani e la nascita della Repubblichina collaborazionista di Mussolini nei territori occupati dalle armate hitleriane. In realtà il fenomeno della resistenza al fascismo è lungo quanto la storia del regime stesso, ed è espressione delle organizzazioni di avanguardia delle classi lavoratrici e della loro opera di costruzione di una coscienza democratica e rivoluzionaria in seno a un popolo che sembrava sopito, ma nel quale maturavano i germi della rinascita. E’ storia di lotta quotidiana in difesa delle condizioni di vita e di lavoro, di opposizione alle guerre coloniali del fascismo, di organizzazione dei volontari in partenza per la Spagna, dove la Repubblica democratica lottava con le unghie e con i denti per difendere la libertà dei popoli iberici contro le forze dell’oscurantismo franchista appoggiate dalle armate di Hitler e Mussolini.
Non a caso la prima manifestazione di massa di resistenza al fascismo si ebbe con il grande sciopero generale del marzo 1943, che paralizzò per giorni l’appartato industriale del nord. E’ dunque dalla classe operaia che il fascismo ha avuto la prima, inequivocabile risposta di massa. Con la Resistenza, la classe operaia assurge per la prima volta nella storia italiana al rango di classe nazionale, di classe cioè che si mette alla guida, con la sua forza organizzata, del processo storico in atto, incontrando in questo un alleato in quella borghesia democratica che, marginalizzata durante il Risorgimento, trovava per la prima volta espressione nella lotta per la Liberazione e la rifondazione della nazione.
Sono questi gli equilibri di classe che determinano, nel 1946, la vittoria della Repubblica nel referendum istituzionale e che dettano l’agenda all’Assemblea Costituente. Anche a livello di organizzazione della società politica, il fenomeno di massa della Resistenza aveva determinato il collasso definitivo del Partito Liberale che, con i suoi comitati d’affari e i suoi sistemi di relazioni e di scambio, aveva dominato l’Italia pre-fascista. La politica diventa fatto di massa perché la classe operaia si organizza, in primo luogo nel Partito Comunista, per parteciparvi in massa. Già il fascismo, con la sua organizzazione capillare della vita sociale e civile, aveva rappresentato una risposta in chiave reazionaria e violenta al manifestarsi di questo processo di massificazione della politica nel primo dopoguerra. Con la Resistenza, il processo giunge a maturazione. I rapporti egemonici ne vengono sconvolti in tutti i settori della vita nazionale. La Costituente, chiamata ad esprimere in forma giuridica il profondo rinnovamento in atto, vara quindi una Carta che capovolge la dogmatica dello Stato liberale, sancendo in forma compiuta la rottura avvenuta, a partire dal 1943, nel tessuto della Storia nazionale.
E’ noto come l’articolo 1 della Costituzione affermi: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.” Nello Statuto Albertino, la carta costituzionale del Regno sabaudo, si ponevano come principi fondamentali dello Stato “la vita, la libertà e la proprietà”. Ora, il fondamento dello Stato è individuato nel lavoro. La proprietà viene declassata da principio fondante a diritto, e come tale tutelata, ma anche – lo si vedrà – regolata e limitata.
L’articolo 3 rappresenta il compimento della nuova concezione: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” La questione democratica trova qui, come si vede, la massima espressione. Essa viene qualificata come questione del potere in una Repubblica che s’impegna a prendere le parti dei lavoratori, a garantire loro l’accesso al suo esercizio.
In questo contesto, gli articoli dal 41 al 44 affermano concretamente il principio della prevalenza della sovranità popolare sulla proprietà privata: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale (…). La legge determina i programmi e i controlli perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.” (Art. 41) E ancora: “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie d’imprese (…).”
La forma dello Stato e l’organizzazione dei suoi poteri, come accennato all’inizio, vengono modellati sulla base della concreta attuazione di questi principi. La centralità del Parlamento come espressione del complesso della società, la subordinazione ad esso dell’esecutivo, l’equilibrio tra potere centrale e decentramento democratico, vengono delineati come garanzie concrete dell’attuazione dei principi e dei diritti enunciati nella prima parte della Costituzione.
Quale applicazione pratica abbia avuto il dettato costituzionale, è cosa nota. L’affermarsi della Democrazia Cristiana, con la sua capacità di organizzare in particolare masse appartenenti al ceto medio e al sottoproletariato tanto urbano quanto agricolo, come espressione della continuazione del potere delle classi dominanti, è risultato decisivo per fare della Costituzione lettera morta. Persino per vederne applicati i risvolti più “istituzionali” (si pensi ad esempio all’istituzione delle regioni) si dovettero aspettare anni, quando non decenni.
Oggi gli equilibri di classe sono profondamente mutati. La classe operaia, parcellizzata e smembrata, è diventata meno folta, ma soprattutto meno cosciente e organizzata. L’attacco in corso contro il sindacato dei metalmeccanici della CGIL, la FIOM, rappresenta, nelle intenzioni dei suoi esecutori politici e confindustriali, il colpo finale da assestare al protagonismo operaio nella vita nazionale. Ceto medio e sottoproletariato sono stati respinti nell’individualismo, nel razzismo, nell’egoismo sociale. L’eliminazione della Costituzione del 1948 si presenta come l’obiettivo terminale dello smantellamento dello Stato nato dalla Resistenza, le cui articolazioni formali ostacolano ancora il pieno riaffermarsi dell’arbitrio dei settori dominanti della società.
Vi è però un elemento nuovo: la crisi economica. La putrefazione del tessuto produttivo del paese, il crollo del terziario, l’aumento della disoccupazione creano le condizioni oggettive per portare avanti una proposta complessiva di socializzazione dell’economia e sviluppo del potere popolare. La battaglia in difesa della Costituzione assume per questo un significato nuovo, ed è contemporaneamente lotta per la sua applicazione. La Carta del ’48 contiene gli elementi per mettere il nostro popolo in condizione di risolvere i problemi posti dalla crisi del capitalismo. La domanda cui dar risposta nell’immediato è: saremo, noi comunisti italiani, capaci di organizzare il soggetto politico capace di sviluppare la lotta per conseguire quest’obiettivo?


Venerdì, 11 Febbraio 2011
Démos nella Conferenza degli Studenti Unimi: per la democrazia e il diritto allo studio

di Francesco Ciraci
(CdF Lettere e Filosofia, rappresentante di Démos SC nella Conferenza degli Studenti)

Démos nella Conferenza degli Studenti Unimi: per la democrazia e il diritto allo studioOramai un po’ di tempo è passato da quando la Conferenza degli Studenti è stata istituita. Attraverso giochi e giochetti degni della politica attuale (a voi giudicare se possono quindi considerarsi belli), oramai c’è abbastanza materiale per poter esprimere alcune opinioni sulla suddetta Conferenza.
Innanzitutto, è piacevole constatare che questa è almeno un organo politico: a differenza dei Consigli di Facoltà, dove votazioni bulgare accettano le direttive del Senato e del Consiglio di Amministrazione senza una minima parvenza di discussione (se non un eventuale «flatus vocis») qui almeno si denotano, nelle discussioni, gli indirizzi politici dei vari gruppi: chi chiede corporazioni di associazioni (che magari dovrebbero sfilare in divisa), chi della tecnica amministrativa ne fa un credo, chi invece invoca la povertà di Gesù nel mentre che sostiene la concezione reazionaria e borghese della Legge Gelmini. Chi, per ultimo, un po’ nostalgico dei tempi in cui in Italia c’era un po’ di uguaglianza, cerca di portare questa parola nelle discussioni della conferenza.
Diciamo che, a differenza di altri ”luoghi”, ha un senso essere qui a discutere con ”colleghi” di altre idee.
Tuttavia il prodotto migliore di questa politica è la ormai consolidata prassi delle commissioni, i cui lavori procedono a rilento e la cui possibile efficacia è, a nostro avviso, sempre collegata alla pratica mobilitativa degli studenti e mai distinta da questa. Degne di nota, tra le varie commissioni, una sulle tasse -nella quale lavoro e che ha già stilato un documento per richiedere la pubblicazione del bilancio al consiglio di amministrazione, finalmente!- ed una invece, da me richiesta e solo faticosamente approvata, sullo studio della Legge Gelmini. Con quest’ultima, almeno, si vedrà quale posizione assumerà la conferenza sulla suddetta Legge.
Importantissima, invece, è un’altra cosa: la Legge suddetta, tra le tante nefandezze, prevede l’obbligo di riforma degli istituti politici ed amministrativi dell’Università e la riscrittura dello Statuto di Ateneo. Dato che lo Statuto è come la Costituzione per un ateneo, per questo è nata una commissione (non ridete!) che avrà il compito di effettuare tale lavoro.
Certamente si vorrà procedere, nello specifico, a diminuire le componenti degli organi come da Legge.
Certamente ciò comporterà la drastica diminuzione delle componenti studentesche all’interno dei suddetti organi.
Tutto in linea con la logica dell’Ateneo azienda espressa dalla riforma ed ancora più in linea con l’eliminazione della rappresentanza studentesca negli organi. D’altra parte, da una Legge del genere (e degenere) attuata da un Governo del genere (idem!) non potevamo aspettarci altro che una diminuzione della rappresentanza democratica nell’ateneo. Tra poco il Rettore verrà chiamato CEO… Alla commissione, proseguendo, la Conferenza deve destinare alla partecipazione due membri della stessa.
Ovviamente, i rapporti di forza nella Conferenza non lasciano scelta: un rappresentante di SU ed uno di CL.
La nostra scelta, in questo caso, è stato di appoggiare il candidato espresso nell’orbita SU, Federico Leva. Compito dell’Associazione saràvigilare e comunicarvi il lavoro svolto dall’ormai anche ‘nostro’ rappresentante; il suo di rendere conto anche alla nostra Associazione del lavoro svolto e delle richieste fatte, ovviamente considerato che il rappresentante in questione non è espressione diretta del nostro gruppo. Sicuramente una cosa è certa: da questo Statuto nuovo rischiano di emergere delle volontà ministeriali che non promettono nulla di buono. Su di queste, nelle commissioni e fuori di esse, lavoreremo sempre affinché non avvenga la distruzione dell’Istruzione pubblica. Che per noi deve essere sempre e comunque gratuita, libera e di massa.


Giovedì, 03 Febbraio 2011
Diritto e socialismo: il sistema giuridico in Venezuela

Pubblichiamo a seguire un’intervista a Fernando Ramón Vegas Torrealba, giudice della Corte Suprema venezuelana. Ci pare che offra spunti importanti per una riflessione sul rapporto tra Diritto e transizione al socialismo. NdR

(Traduzione a cura di Francesco Delledonne)

Diritto e socialismo: il sistema giuridico in VenezuelaChi sei e qual è il tuo ruolo in Venezuela?

Mi chiamo Fernando Ramón Vegas Torrealba e sono un giudice della Corte Suprema Venezuelana. Lavoro nella Camera elettorale con altri cinque giudici; in totale la corte è composta di trentadue giudici suddivisi in sei camere.

In breve, come sei arrivato dove sei ora?

Sono stato selezionato dall’Assemblea Nazionale, da un lato da persone della società civile e dall’altro da parlamentari. Fanno un primo esame, poi un secondo, e dopo varie procedure i deputati dell’Assemblea fanno le selezioni finali.

Prima di diventare giudice della Corte Suprema, di cosa ti occupavi?

Insegnavo in università ed esercitavo la professione di avvocato.

Com’era la situazione della giustizia prima della rivoluzione?

Il nostro problema principale era che l’accesso alla giustizia era molto ristretto, dal momento che poche persone potevano permettersi di pagare gli avvocati. Quindi il nostro primo compito fu di aumentare la possibilità del popolo di avere accesso alla giustizia.
Prima ti ho parlato di quanti sono i giudici della Corte Suprema, sono così tanti perché, avendo aumentato l’accesso alla giustizia, abbiamo molti più casi da esaminare. Sempre più persone hanno la possibilità e la consapevolezza di andare nelle aule di giustizia.

Stai dicendo che la differenza fondamentale rispetto a prima, riguardo al sistema giuridico, è l’accesso allo stesso?

Questa è solo una differenza. L’altra enorme differenza è che oggi abbiamo l’inclinazione di stare dalla parte delle persone che nel caso in questione hanno meno potere. Ad esempio, supponga che un lavoratore ha una disputa con il proprietario, o un membro della comunità con il sindaco. Ci chiediamo: qual è la parte debole nella disputa? E ciò cosa implica dal punto di vista giuridico, una volta che si è stabilito qual è la parte più debole?
La legge, nella Repubblica Bolivariana, prima indaga e poi prova concretamente ad aiutare la parte debole. Ovviamente il compito rimane quello di applicare la legge, ma allo stesso tempo interpretarla per aiutare le parti più deboli e povere. Naturalmente ciò si applica principalmente alle controversie civili, per i casi penali l’aiuto alla parte debole sta principalmente nel permettere a tutte le persone di potersi difendere nel modo migliore.

Quindi quando parli di stare della parte del più debole, intendi quando la corte sta risolvendo una disputa, una causa civile?

Sì, ti faccio un esempio: quando un lavoratore ha firmato un contratto con il suo padrone in cui il lavoratore rinuncia ad alcuni dei suoi diritti, se essi entrano in una contesa giudiziaria, la corte ignorerà quel contratto. E’ come se il lavoratore non l’avesse mai firmato. Il padrone non può usare quel documento contro quel lavoratore, dal momento che quest’ultimo è la parte debole.

E se invece il padrone ha firmato un documento che…

Quello verrebbe usato contro di lui come prova.

Va bene, quindi i cambiamenti della Rivoluzione sono stati l’aver aumentato l’accesso e una parzialità a favore della parte debole contro quella forte.

C’è anche un altro aspetto. Considera un caso con un minore e un adulto. Sono entrambi, non solo oggetti del processo, ma anche soggetti. Quindi, ad esempio, il bambino può parlare in aula, non importa la sua età. Il bambino può parlare come soggetto del processo, non è solo l’oggetto.

La Costituzione dice che il Venezuela è uno stato non solo ‘di diritto’, ma anche ‘di giustizia’. Ci si riferisce a quello di cui parlavamo prima?

Sì, esattamente

E ci sono altre implicazioni derivanti da questa formulazione?

Certamente, e ci stiamo tuttora lavorando. Non abbiamo ancora un sistema completo. Ogni giorno aggiungiamo più elementi e caratteristiche per dare giustizia al popolo. La frase costituzionale che hai citato significa che la Giustizia deve prevalere. Se in un caso applicare strettamente le legge ti portasse ad avere un risultato iniquo, devi reinterpretarla o integrarla, hai il dovere di lavorare per la Giustizia.

Vuoi dire qualcos’altro ai lettori?

Che è importante discutere con altre persone di quanto stiamo facendo in Venezuela. Ci sono molte falsità e confusione sul processo bolivariano ed è di nostro aiuto se la gente inizia a comprendere la verità, per aiutarci ad avere un ambiente favorevole per procedere con la Rivoluzione.


Domenica, 23 Gennaio 2011
28 gennaio: SCIOPERO GENERALE DEI METALMECCANICI

La nostra Associazione sostiene lo Sciopero indetto dalla FIOM-CGIL per il 28 gennaio
SIAMO TUTTI SOTTO ATTACCO

Berlusconi, Marchionne, Gelmini… Tanti nomi, un solo progetto:
MENO GIUSTIZIA, MENO EGUAGLIANZA, MENO DEMOCRAZIA

Solo uniti possiamo difendere ciò che è di ciascuno!

MANIFESTAZIONE
concentramento alle h. 9.30 a P.ta Venezia


Venerdì, 21 Gennaio 2011
Dal Consiglio di Facoltà del 19/01: fase costituente in Università

La riunione del CdF dello scorso 19 gennaio, preceduta dalla seduta della Commissione Didattica, ha avuto come elemento di maggiore rilievo le comunicazioni del Preside circa gli effetti dell’approvazione del Decreto Gelmini sulla vita e l’organizzazione della nostra Facoltà e dell’Ateneo.
Come già annunciato, dei quattro dipartimenti esistenti presso la Facoltà di Giurisprudenza, uno verràsoppresso. Si tratta del dipartimento di Economia, diritto del lavoro e diritto tributario, che non raggiunge le dimensioni previste dal decreto per il mantenimento.
E’ questo un aspetto di un più ampio processo di ridefinizione dell’organizzazione dell’Università, che porterà alla riscrittura dello Statuto. Si è già aperta nell’Ateneo una fase costituente che dovrà compiersi entro l’inizio del 2012, finalizzata all’applicazione dei dettami del decreto. La novità di maggior rilievo è la scomparsa delle facoltà, in un’ottica di rafforzamento dei dipartimenti. E’ pur vero che lo statuto dell’Università di Roma “La Sapienza”, unico fino ad ora ad ottemperare ai paramentri della nuova norma, ha recuperato la struttura delle facoltà come strumento dicoordinamento tra dipartimenti omogenei, ma ciò non implica che non si sia di fronte a una trasformazione profonda della struttura accademica come finora intesa.
Naturalmente, la fase costituente apertasi nella nostra Università richiederà da parte degli studenti vigilanza e partecipazione. Occorre esercitare tutte lepressioni politiche e di movimento per limitare i danni e aumentare gli spazi di democrazia, socialità e partecipazione per gli studenti. Démos intende essere all’avanguardia nella lotta in questo senso.

Alessio Arena
Consigliere di Facoltà


Lunedì, 17 Gennaio 2011
Linee guida per il riconoscimento dei periodi di studio all’estero

Alleghiamo il testo delle Linee guida di Ateneo per il riconoscimento dei periodi di studio all’estero (ad esempio Erasmus) approvate dal Senato Accademico del 15.6.2010. Per accedere al file, cliccare sull’icona di word.

Riconoscimento Erasmus


Lunedì, 17 Gennaio 2011
Ricordando Patrice Lumumba nel 50esimo anniversario della sua morte

di Gabriele Repaci

Ricordando Patrice Lumumba nel 50esimo anniversario della sua morteSono già passati cinquant’anni da quando i paracadutisti belgi, con la collaborazione determinante delle Nazioni Unite, assassinarono Patrice Lumumba il giovane Presidente nazionalista del Congo.
Patrice-Émery Lumumba nacque il 2 luglio 1925 a Katako-Kombe nel Kasai Orientale, nella parte centrale dell’allora Congo Belga, da una famiglia di etnia tetela. Lumumba apparteneva agli évolués, ovvero la piccola borghesia congolese europeizzante figlia del politica coloniale di assimilazione dei belgi. Dopo aver compiuto gli studi presso la missione cattolica e poi quella protestante decise, a diciotto anni, di recarsi in città. Compì Dapprima a Kindu ed inseguito a Stanleyville, l’odierna Kisangani, la sua formazione intellettuale. Dopo aver ricoperto ricoperto alcuni piccoli incarichi nella pubblica amministrazione, nel 1957 troverà un lavoro di responsabilità nella capitale Léopoldville, oggi Kinshasa. L’anno seguente fonderà il Movimento Nazionale Congolese (Mnc) prendendo parte alla prima conferenza panafricana ad Accra nel Ghana indipendente di Kwame Nkrumah. Nel panorama politico congolese di allora il Mnc si distinse per la visione unitaria, sovraetnica ed antiregionalistica dello stato che rifletteva la natura piccolo-borghese del movimento. I tre capisaldi del lumumbismo sono: indipendenza economico-politica, unità nazionale e collegamento con gli altri movimenti nazionalistici africani. Inseguito ai disordini violenti scoppiati a Léopoldville il 4 gennaio del 1959, Bruxelles decise di affrettare il processo di decolonizzazione. Il 30 giugno del 1960 Il Congo ottiene l’indipendenza. Lumumba ne diventa il primo premier. Tuttavia di lì a poco Moisés Tchombé, grazie al supporto degli ex colonialisti belgi, diede vita ad un movimento secessionista nel Katanga, regione ricca di minerali preziosi. Approfittando del disordine creatosi nel paese il Belgio inviò paracadutisti mentre le Nazioni Unite intervennero con una “forza di pace”. Nell’autunno del 1960 il Presidente Joseph Kasa-Vubu attuò un colpo di stato consegnando il capo del governo Lumumba ai mercenari belgi, venuti in soccorso dei secessionisti, che inseguito lo assassinarono. Complice del delitto fu anche il governo degli Stati Uniti allora presieduto dal Repubblicano Dwight D. Eisenhower . « Lumumba era un pericolo per il Congo e per il resto del mondo, perché avrebbe permesso ai comunisti di stabilirsi nella regione » dichiarò Lawrence Devlin, uomo della Cia a Lèopoldville.
L’ordine di assassinare Lumumba venne direttamente da Washington. Catturato dai soldati di Tchombéil 2 dicembre del 1960, mentre stava cercando di riparare a Stanleyville, Lumumba venne trasferito il 17 gennaio a Elizabethville, oggi Lumumbashi, nel Katanga. Li, dopo essere stato torturato, venne ucciso da un plotone d’esecuzione al comando di un ufficiale belga. Inseguito verrà fatto a pezzi con una sega per poi essere disciolto nell’acido. Nonostante la sua morte, l’eredità di Lumumba, come quella di altri martiri della lotta contro l’imperialismo, vive ancora nei cuori di milioni di persone appartenenti alle più diverse nazionalità e religioni. Gli uomini possono essere uccisi, ma le loro idee no.

Martedì, 28 Dicembre 2010
28 dicembre 1943: fucilati i sette fratelli Cervi

Ricorre oggi l’anniversario della fucilazione dei sette fratelli Cerviad opera dei fascisti. Interrogati e seviziati a lungo, avrebbero poturo evitare la morte passando dalla parte dei repubblichini. Quando fu loro avanzata questa proposta, risposero: “Crederemmo di sporcarci.”
Con le nostre lotte, noi vogliamo far rivivere quell’Italia, capace di grandezza e desiderosa di progettare un futuro di giustizia, uguaglianza e libertà. Alla memoria dei sette caduti della Resistenza dedichiamo dunque i versi scritti per loro da Salvatore Quasimodo. N.d.R.

Ai fratelli Cervi, alla loro Italia

di Salvatore Quasimodo

In tutta la terra ridono uomini vili,
principi, poeti, che ripetono il mondo
di sogni, saggi di malizia e ladri
di sapienza. Anche nella mia patria ridono
sulla pietà, sul cuore paziente, la solitaria
malinconia dei poveri. E la mia terra è bella
d’uomini e d’alberi, di martirio, di figure
di pietra e di colore, d’antiche meditazioni.
Gli stranieri vi battono con dita di mercanti
il petto dei santi, le reliquie d’amore,
bevono vino e incenso alla forte luna
delle rive, su chitarre di re accordano
canti di vulcani. Da anni e anni
vi entrano in armi, scivolano dalle valli
lungo le pianure con gli animali e i fiumi.
Nella notte dolcissima Polifemo piange
qui ancora il suo occhio spento dal navigante
dell’isola lontana. E il ramo d’ulivo è sempre
[ardente.
Anche qui dividono i sogni la natura,
vestono la morte, e ridono, i nemici
familiari. Alcuni erano con me nel tempo
dei versi d’amore e solitudine, nei confusi
dolori di lente macine e di lacrime.
Nel mio cuore finì la loro storia
quando caddero gli alberi e le mura
tra furie e lamenti fraterni nella città lombarda.
Ma io scrivo ancora parole d’amore,
e anche questa è una lettera d’amore
alla mia terra. Scrivo ai fratelli Cervi,
non alle sette stelle dell’Orsa; ai sette emiliani
dei campi. Avevano nel cuore pochi libri,
morirono tirando dadi d’amore nel silenzio.
Non sapevano soldati, filosofi, poeti,
di questo umanesimo di razza contadina.
L’amore, la morte, in una fossa di nebbia appena
[fonda.
Ogni terra vorrebbe i vostri nomi di forza, di pudore,
non per memoria, ma per i giorni che strisciano
tardi di storia, rapidi di macchine di sangue.


Lunedì, 20 Dicembre 2010
Lotte studentesche in Italia: il saluto della KNE

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il saluto della KNE (Gioventù Comunista di Grecia) agli studenti italiani in lotta contro le politiche della Gelmini e di Berlusconi, ispirate dal padronato per rendere la nostra istruzione ancora più classista ed elitaria di quanto non sia e per sottometterla agli interessi dei privati.

L’analisi dei compagni greci circa la natura della crisi economica in corso e le sue connessioni con lo smantellamento del sistema formativo pubblico, ci trova pienamente concordi, come pure il complesso delle proposte avanzate per un sistema scolastico e universitario pubblico, laico e gratuito.

Per leggere il documento della KNE, clicca sull’icona:
Il Partito Comunista Greco KAINOURGIO(2)


Lunedì, 20 Dicembre 2010
PERCHE’ DEMOS? Una testimonianza

di Flavio Agosti

A volte mSimbolo-DemosSCi chiedo quale sarebbe il motivo per partecipare all’associazione o soltanto per votare alle elezioni universitarie.
Perchè.
Le ragioni sono molte.
Certo, qualcuno potrebbe dire: ” ma cosa volete cambiare? in Italia funziona e funzionerà sempre così”.
E’ il muro di gomma che paralizza il nostro paese. Quel paese che in giro per il mondo, ora viene preso ad esmpio per identificare quanto un popolo possa essere succube di una o più persone; quel grande popolo che io amo e che credo che in cuor suo aspetti soltanto un sussulto, un qualcosa che faccia venir fuori quel sentimento puro e nobile che riesce ad unire gli italiani.
Penso sempre che siamo un popolo strano: soltanto quando ci attaccano o siamo alle corde come un pugile che ha incassato troppo, ecco, allora ci risvegliamo.
Un popolo che nel bene o nle male, nella storia è stato protagonista.
Un popolo ridotto ad essere ballerine che si contendono la carezza del padrone. Propio per questo io mi indigno del ruolo della donna e penso che dovrebbero farlo tutte le donne d’Italia, anzichè subire in silenzio e dare ragoine al padrone. Pensate se ci foste voi costrette o le vostre figlie? Che direste?
E quanto ci sarebbe da dire ancora…
Perchè Demos?
Io faccio parte di questa associazione per caso, ,ma è stato uno dei casi della vita che quando ti guardi indietro, sei felice di avere avuto occasione di esserne bersaglio.
Amici, compagni, studenti…
Certo, non è votando o sotenendo Demos che si cambia il mondo.
Ma è l’idea che sta dietro a Demos che è quella potenziale, basata sulla collettività, sull’aiuto reciproco, che deve stare alla base di una società basata sulla redistribuzione della ricchezza e sulla’aiuto reciproco per il benessere comune: ovvero il socialismo.
Quando penso alle “battaglie” combattute con Demos penso a cose giuste: contro la chiusura dei chiostri, contro il caro prezzi della mensa, contro le aggressioni in università, e la lotta degli studenti lavoratori.

Perchè solo a quelli che hanno i genitori con disponibilità economiche è permesso studiare in pace?
Perchè io ho dovuto lavorare mentre studiavo?
Perchè da un orecchio ci sento meno dall’altro? Forse lavoravo in un posto molto rumoroso?
Perchè ho un braccio che mi fa male quando sollevo pesi troppo pesanti? Perchè ripetevo lo stesso gesto circolare col polso più e più volte?

Perchè quando parlo di queste cose dovrei essere preso in giro? pensando che sono cose da Charlie Chaplin in Tempi moderni?

A tutti quelli che stanno leggendo dico che la vita reale è questa. Non la culla dorata che alcuni hanno sempre avuto a disposizione mentre altri, entrando nel periodo natalizio, sono nati al freddo e al gelo al buio di una grotta?

“Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo,
e vieni in una grotta al freddo e al gelo”


Lunedì, 06 Dicembre 2010
Démos vs Gelmini: PROTAGONISTI, NON SPETTATORI DEL NOSTRO FUTURO!

La cosiddetta riforma Gelmini, è una piaga che l’università italiana si porta dietro da ormai due anni… Ricordiamo come fosse ieri il movimento che nel 2008 portò in piazza migliaia di studenti a dire NO ad una riforma che in realtà non era che una serie di tagli i quali prendevano senso visti alla luce di una unica prospettiva: la marginalizzazione delle scuole pubbliche e la loro sostituzione con quelle private, fucina di una concezione culturale elitaria e dirigenziale.

In una tale concezione, quella dove il privato ricco insegna ai nuovi rampolli della società e lo Stato si lava le mani della “questione culturale” dei cittadini estromessi dallo studio, che saranno tutti coloro che non avranno i mezzi per poter pagare i prezzi salati della nuova istruzione, questo risvolto più che casuale pare essere scientificamente considerato.

Ma quale lotta ai baroni: con un turn-over al 20% chi mai avrà accesso alle cattedre? Non più chi “merita” tra i tanti delfini, ma il delfino del barone più potente!

Con contratti di ricerca precari che non garantiscono un futuro certo neanche in otto anni di lavoro precario, chi credete possa o voglia rischiare di arrivare a 40 anni senza una minima sicurezza del proprio lavoro? Nessuno!

In una situazione dove le Università statali senza mezzi lottano contro Università private e dove è complice il reiteramento della proposta di abolizione del valore legale del titolo di studio, che prospettive potrà avere nel mondo del lavoro chi uscirà dalle università statali di serie B? Nessuna! Passerà chi ha potuto studiare nelle più “blasonate” Università private, sempre più irrorate di finanziamenti pubblici.

Ora veramente basta! Il nemico è in crisi, facciamo si che sia la piazza a dargli il colpo finale! Non speriamo che la risposta avvenga fortuitamente (ed illusoriamente) per dinamiche parlamentari!

Quello di cui oggi si ha bisogno è una unità nella lotta, che deve estendersi a tutte le associazioni ed i singoli studenti insieme, fino ai lavoratori stessi! Una lotta che ci veda finalmente protagonisti, non spettatori, del nostro futuro!

Lotta alla Gelmini! Lotta ai padroni!


Giovedì, 18 Novembre 2010
17 novembre: PER IL DIRITTO ALLO STUDIO


Sabato, 13 Novembre 2010
Paderno Dugnano: lavorare uccide (di nuovo)

È morto Sergio Scapolan, l’operaio 63enne ricoverato all’ospedale di Sampierdarena a Genova dopo essere stato avvolto dalle fiamme nello scoppio alla Eureco di Paderno Dugnano, il 4 novembre scorso. Altri sei operai sono stati coinvolti, riportando ustioni gravissime. Si tratta dell’ennesima notizia di questo genere, in un paese tra i primi in Europa per decessi sul lavoro e in una regione, la Lombardia, che ne detiene il primato a livello nazionale.
Ora spetterà alla magistratura appurare le responsabilità. Ma noi le responsabilità le conosciamo: vanno attribuite a un sistema economico in cui il profitto viene prima della vita e viene perseguito a dispetto di essa.
Navigando su internet, abbiamo trovato la riflessione di un operaio di Firenze sul fenomeno spaventoso delle morti sul lavoro. La proponiamo a seguire. NdR

Le chiamano “morti bianche”, come avvenissero senza sangue.
Le chiamano “morti bianche”, perchè l’aggettivo bianco allude all’assenza di una mano direttamente responsabile dell’accaduto, invece la mano responsabile c’è sempre, più di una.
Le chiamano “morti bianche”, come fossero dovute alla casualità, alla fatalità, alla sfortuna.
Le chiamano “morti bianche”, ma il dolore che fa loro da contorno potrebbe reclamare ben altra sfumatura cromatica.
Le chiamano “morti bianche” per farle sembrare candide, immacolate, innocenti.
Le chiamano “morti bianche”, tanto non meritano che due righe sui quotidiani, si e no una citazione nel telegiornale.
Le chiamano “morti bianche”, per evitare che si parli di omicidi sul lavoro.
Le chiamano “morti bianche”, bianche come il silenzio, come l’indifferenza che si portano dietro.
Le chiamano “morti bianche”, ma non sono incidenti, dipendono dall’avidità di chi si
rifiuta di rispettare le norme sulla sicurezza sul lavoro.
Le chiamano “morti bianche”, un modo di dire beffardo, per delle morti che più sporche di così non possono essere.
Le chiamano “morti bianche”, ma sono il risultato dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dove la vita non ha valore rispetto al profitto.
Le chiamano “morti bianche”, ma sono tragedie inaccettabili per una paese che si definisce civile, che non può permettersi di avere tutte queste morti sul lavoro.
Le chiamano “morti bianche”, ma in realtà sono nere, non solo perchè ogni morte è “nera” ma perchè spesso, quasi sempre, le vittime non risultano nemmeno nei libri paga dei loro “padroni” : padroni della loro vita. E della loro morte.
Le chiamano “morti bianche”, ma sono un’emergenza nazionale, anche se c’è chi dice che sono in calo, senza rendersi conto che i dati sulle morti sul lavoro sono fortemente sottostimati, e che se calo c’è è dovuto principalmente alla crisi economica.
Le chiamano “morti bianche”, un eufemismo che andrebbe abolito, perchè è un insulto ai familiari e alle vittime del lavoro.
Le chiamano “morti bianche”, ma quanto tempo passerà ancora perchè vengano chiamate con il loro vero nome?

Marco Bazzoni – Operaio metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza-Firenze

Fonte:
http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=141256


Venerdì, 12 Novembre 2010
Karl MARX: il diritto e i rapporti economici

Pubblichiamo a seguire un estratto della prefazione di Karl Marx a “Per la critica dell’Economia Politica”. La riflessione che vi si esprime è molto utile, per noi studenti di Giurisprudenza, per riflettere sul rapporto tra diritto e società. N.d.T.

Karl MARX: il diritto e i rapporti economiciIl primo lavoro intrapreso per sciogliere i dubbi che mi assalivano fu una revisione critica della filosofia del diritto di Hegel, lavoro di cui apparve l’introduzione neiDeutsch-französische Jahrbücher pubblicati a Parigi nel 1844. La mia ricerca arrivò alla conclusione che tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello Stato non possono essere compresi né per sé stessi, né per la cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici, piuttosto, nei rapporti materiali dell’esistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegel, seguendo l’esempio degli inglesi e dei francesi del secolo XVIII, sotto il termine di “società civile”; e che l’anatomia della società civile è da cercare nell’economia politica. Avevo incominciato lo studio di questa scienza a Parigi, e lo continuai a Bruxelles, dove ero emigrato in seguito a un decreto di espulsione del sig. Guizot. Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale,politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabiledistinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizionieconomiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall’idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invecespiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finchè non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perchè l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perchè, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. I rapporti di produzione borghese sono l’ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorga dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana.

Clicca qui per consultare il testo integrale di Per la critica dell’Economia Politica


Domenica, 31 Ottobre 2010
Questione operaia: intervista a Vincenzo Acerenza, operaio INNSE

In questo periodo, i fatti di giugno a Pomigliano, l’aggressione contro la FIOM a Melfi e la grande manifestazione operaia del 16 ottobre a Roma hanno riproposto con forza la questione del ruolo degli operai nella vita sociale e produttiva del Paese.
La nostra associazione è vicina al mondo operaio e si adopera per mettere in contatto con quest’ultimo gli studenti della nostra Università.
Un anno fa abbiamo realizzato un’intervista in esclusiva a Vincenzo Acerenza, uno degli operai della INNSE che avevano concluso vittoriosamente, nell’agosto 2009, la lotta per salvare la propria officina dallo smantellamento. La riproponiamo come contributo di riflessione sul ruolo operaio nella crisi. NdR

Questione operaia: intervista a Vincenzo Acerenza, INNSEA due mesi di distanza dalla soluzione raggiunta per la INNSE, storica fabbrica metalmeccanica di Lambrate, tramite il protocollo firmato con il gruppo Camozzi di Brescia, giunta dopo quindici mesi di lotta (proseguita anche successivamente, per vigilare sull’accordo ed impedire passi indietro), abbiamo incontrato Vincenzo Acerenza per ripercorrere con lui le fasi di quella vicenda. Vincenzo è uno dei quattro operai che, insieme a un funzionario della FIOM-CGIL, nei primi giorni dello scorso agosto è salito su una gru dell’officina, restandoci per giorni, per fermare lo smontaggio dei macchinari avviato per volere della vecchia proprietà e che avrebbe compromesso definitivamente la ripresa dell’attività produttiva.
Questa intervista rappresenta per il nostro giornale e per l’Associazione Démos U.C., che quella lotta ha sostenuto come ha potuto sin dal settembre 2008, l’occasione per fare il punto su un’esperienza che tanto ha insegnato a ciascuno di noi e tanto ha da insegnare in questi tempi di crisi.

Dunque la INNSE ha riaperto a partire dal 12 ottobre e siete tornati al lavoro. Una bella vittoria?

Il 15 ottobre siamo stati tutti riassunti da Camozzi il nuovo padrone. Un primo gruppo di operai ha ripreso la produzione da subito, gli altri in cassa intergrazione e riprenderanno gradualmente secondo un piano. Una vittoria? Da un lato una sfolgorante vittoria, dall’altro un risultato amaro.

Perché un risultato amaro?

Il lavoro è stato mitizzato, si confonde il lavoro come attività genericamente umana con il lavoro in questa società ed in particolare il lavoro operaio. Noi torneremo ad alzarci all’alba, sui turni, al caldo ed al freddo, attaccati ad una macchina, stando ben attenti a portare a casa la pelle, sotto il controllo di un capo e per soli, se ci si arriva, 1300 euro al mese.

Però parli anche di sfolgorante vittoria.

La scelta del padrone Genta era definitiva, la fabbrica, la INNSE, doveva essere chiusa. I suoi interessi e quelli dell’immobiliare, proprietaria del terreno passavano attraverso lo smantellamento dell’officina. Fummo posti a maggio del 2008 di fronte alla scelta: o trattare la chiusura con i soliti ammortizzatori sociali oppure tentare in tutti i modi di non farla chiudere. Decidemmo per questa seconda opzione. Oltretutto Genta aveva cominciato male buttandoci fuori dall’officina con un telegramma e da un giorno all’altro. La prima risposta fu quella di forzare subito la mano, entrammo in fabbrica e riprendemmo la produzione. Avevamo ancora delle commesse da finire.

Un’autogestione?

Anche qui non vogliamo lanciare segnali distorti come quello della possibilità, in un sistema di mercato, di una gestione operaia delle fabbriche. Si finirebbe comunque a fare i padroni di noi stessi, costringendoci reciprocamente a fare fronte alle necessità del mercato, che ha la sua ragione di esistenza nella produzione per il profitto. Noi abbiamo voluto dimostrare che la fabbrica funzionava anche contro la volontà del padrone che parlava di mancanza di lavoro, macchinario obsoleto. Alla sua volontà di chiudere abbiamo opposto la realtà di una fabbrica in funzione e non ci sembra poco.

Conosco la storia. A settembre 2008 la polizia vi mise fuori dallo stabilimento e da lì cominciaste il presidio. Cosa vi spinse a questa decisione?

Il fatto che non è stato rilevato è che noi fummo licenziati il 22 agosto 2008, al termine dei 75 giorni della procedura di mobilità. Il passaggio più critico di tutte le lotte contro i licenziamenti è la fine della procedura, ci si trova in Regione e il ricatto è terribile, tutti spingono per trovare soluzioni con i soliti ammortizzatori e fare il mancato accordo vuol dire essere in mobilità senza incentivi. Noi mandammo all’incontro solo la segretaria provinciale della FIOM che firmò il mancato accordo. Il ricatto più terribile venne superato di slancio, ci avrebbero licenziato, messi in mobilità ma la fabbrica non avrebbero potuto smontarla col nostro consenso.

Il controllo della fabbrica per voi era essenziale?

Il perno centrale della lotta. Disceso da una strana, nuova concezione. Il macchinario è veramente del padrone? Formalmente sicuramente sì, ma lo è sostanzialmente? Gli operai potrebbero pensare che in qualche modo è stato ammortizzato col loro lavoro? Se lo pensano e impediscono al padrone di portarlo via, di smontarlo commettono forse un sacrilegio? L’avvocato del padrone salta su tutte le furie, corre dal magistrato, rivendica il diritto alla proprietà privata che 49 operai sbandati di via Rubattino hanno il coraggio di mettere in discussione. Per 17 mesi giorno e notte la fabbrica è tenuta sotto sorveglianza, c’è da riempire un libro dei tentativi di Genta per entrare, iniziare a smontare le macchine, prendersi la “sua” roba. Ogni volta scontri con le forze dell’ordine, il 10 febbraio manganellate, la portineria di via Rubattino ha visto schierati più polizia e carabinieri in quest’ultimo anno e mezzo di quanti ne abbia visti dalla fine della guerra ad oggi.

Ci puoi in poche righe raccontare il ruolo delle istituzioni in questa vicenda?

Il 2 agosto siamo completamente soli, Genta sta smontando il macchinario, la fabbrica è circondata da circa trecento poliziotti in tenuta antisommossa, la Magistratura milanese ha dato il via allo smantellamento, Prefetto e Questura avevano deciso il giorno e l’ora, questa è la verità. Per più di un anno abbiamo girato tutti i tavoli istituzionali, la Provincia e la Regione, il Ministero, quasi quaranta incontri e tutti inconcludenti. Il piccolo padrone di periferia dettava legge, non voleva vendere a nessuno la fabbrica faceva scappare i possibili acquirenti per i prezzi e le condizioni che buttava sul tavolo, lo fiancheggiava la AEDES (l’immobiliare n.d.r.) che voleva libera l’area. Ebbene le istituzioni si sono sempre limitate a registrare questi fatti, nessuna scelta di modificarli, di imporre altre scelte, la volontà del padrone, anche il più sputtanato, detta legge. La politica del lavoro? Una chimera, erano disposti tutti a darci qualche briciola a condizione che mollavamo la fabbrica, la politica del lavoro si manifestava come politica dell’assistenza ai poveri.

La decisione di andare sulla gru è stata un atto disperato?

Nemmeno per sogno, avevamo assoluto bisogno di fermare lo smontaggio delle macchine, ogni ora che passava era un passo verso la sconfitta definitiva. Decidiamo, dopo due giorni di inutili tentativi di fermare Genta per via istituzionale, di entrare in fabbrica. Aggiriamo il blocco delle forze dell’ordine, passando per vie che conoscevamo solo noi e ci ritroviamo al centro dell’officina. Davanti ai mercenari che stavano smontando ed alla Digos che non ha capito subito che cosa stesse succedendo abbiamo puntato dritto alla scala della gru. In pochi minuti eravamo su gridando come dei matti contro Genta, contro lo smontaggio delle macchine. In questo casino indiavolato i dirigenti della polizia hanno pensato bene di sospendere il lavoro di smontaggio, allontanare Genta dall’officina. Il primo risultato era raggiunto, la fabbrica era salva.

Pensavate ad una soluzione della questione dell’acquirente in così poco tempo?

Noi, fin dall’inizio abbiamo cercato un industriale che comprasse INNSE e proseguisse l’attività, ma lo abbiamo cercato rovesciando il problema. Noi la fabbrica non l’avremmo fatta chiudere, noi i licenziamenti non li avremmo accettati, né contrattati per nessuna ragione, per 17 mesi abbiamo tenuto duro su questi obiettivi senza dare segni di cedimento. Quando a luglio ci hanno, per l’ennesima volta, proposto la ricollocazione li abbiamo mandati a quel paese. Trovare la soluzione del problema toccava a loro, noi eravamo un problema da risolvere facendo ripartire INNSE e nel momento in cui un imprenditore vero si è fatto avanti gli hanno fatto, tutti, ponti d’oro. E se non si fosse trovato? Dovevano schiacciarci con la forza, usare l’esercito per demolire una fabbrica nella crisi, quale segnale sarebbe arrivato a tutta la società ed agli operai per primi? Avrebbero pagato un prezzo politico molto, molto alto. Perciò diciamo: resistete alla chiusura delle fabbriche, che ci sia o no la possibilità di un nuovo acquirente poco importa, l’importante è mettere in luce che i padroni e la loro gestione dell’industria hanno fatto il loro tempo e la crisi ne è la dimostrazione più lampante.

Ma raccontaci come è stato possibile gestire una lotta del genere, per così lungo tempo e con questi risultati.

Il partito operaio alla INNSE, alla INNSE si è cementata una comunità operaia che ha la fisionomia di un partito informale, gli operai si sono uniti come parte, indipendente da tutti. Sul versante sindacale hanno imposto il loro punto di vista nella gestione e conduzione della lotta, sul versante politico hanno segnato una indipendenza da tutti i partiti esistenti, anche quelli che si sono dichiarati più attenti sostenitori. Gli operai hanno bisogno di ben altre prospettive per emanciparsi dalla loro condizione, hanno soprattutto bisogno di fare in proprio anche politicamente e il partito operaio della INNSE lo ha dimostrato gestendo direttamente senza intermediari i rapporti con le istituzioni, con lo Stato, con la stampa. Il fatto veramente nuovo è che il “settarismo operaio” che ci distingue si è rivelato capace di mobilitare tante forze e tanti militanti a sostegno della lotta. Funziona così, se gli operai dimostrano di saper tenere testa ai padroni trovano sostenitori ovunque, viceversa se gli operai pensano di esser forti perché qualcuno parla a loro favore fanno un errore che pagano caro. Pensate a quante fabbriche chiudono sommerse di dichiarazioni pompose di sindaci, assessori, dirigenti sindacali e sovversivi chiacchieroni per capire perché gli operai della INNSE hanno prima di tutto fatto affidamento sulle loro forze. Ed hanno ottenuto il risultato che volevano. GIU’ LE MANI DALLA INNSE.

(A cura di Alessio Arena)


Giovedì, 21 Ottobre 2010
COMMEMORAZIONE DI GIOVANNI ARDIZZONE

Il 27 ottobre 1962, nel periodo della Crisi dei Missili, durante una grande e pacifica manifestazione organizzata a Milano dalla CGIL a favore della pace nel mondo e contro un possibile attacco da parte degli Stati Uniti a Cuba con armi nucleari, una jeep della polizia uccise il giovane studente di medicina dell’Università Statale Giovanni Ardizzone.
L’assurda morte di questo ragazzo di 22 anniprovocò uno sdegno immenso in tutta Italia e due giorni dopo, lunedì 29 ottobre, i lavoratori di tutte le fabbriche dell’area di Milano proclamarono uno sciopero generale in segno di protesta, raggiungendo in molti casi il 100% di astensioni dal lavoro.
Da quel giorno sono trascorsi 48 anni, ma crediamo che la memoria di questo avvenimento a difesa della pace nel mondo non debba andar persa.
Facciamo appello alla cittadinanza a partecipare a una semplice

cerimonia di commemorazione
mercoledì 27 ottobre – alle ore 18.00

nel luogo in cui cadde Giovanni Ardizzone, in Via Giuseppe Mengoni – angolo Via Carlo Cattaneo, dove sarà deposto un omaggio floreale.

Sempre mercoledì 27 – alle ore 21.00

Giovanni Ardizzone verrà ricordato in un incontro presso la sala Buozzi della Camera del Lavoro Metropolitana di Milano – Corso Porta Vittoria, 43.

Promuovono:

ANPI Milano
Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba
CGIL Milano
Coordinamento di Associazioni – Memoria Antifascista

Scarica il nostro volantino in pdf cliccando sull’icona del file


Martedì, 19 Ottobre 2010
Presentazione della Facoltà: il nostro saluto ai nuovi iscritti

Segue la sintesi del saluto del nostro consigliere di facoltà, Alessio Arena, ai nuovi iscritti, svolto in occasione della presentazione dei corsi di studio tenutasi in aula magna luned’ 18 ottobre.

Presentazione della Facoltà: il nostro saluto ai nuovi iscrittiL’anno accademico si è aperto con un carico di questioni e interrogativi che reclamano risposta. Il deterioramento delle condizioni economiche del nostro sistema universitario ne minaccia la sopravvivenza. Una risposta è possibile a partire dalla vita quotidiana.

E’ necessario far vivere l’università anzitutto come luogo di aggregazione, frequentare tanto le lezioni quanto i suoi luoghi di studio, le sue biblioteche, i suoi chiostri. L’università deve essere vissuta come una comunità viva, attiva e partecipe delle sorti della società, cui offre, con la sua opera di formazione, un contributo decisivo. Farla vivere come comunità, appropriarsi – simbolicamente e materialmente – dei suoi spazi, significa preservarli, farli vivere per tramandarli agli studenti che verranno dopo di noi.

Gli studenti non devono considerare sé stessi come meri clienti di un servizio a pagamento, ma come parte attiva di una comunità. Poiché l’università contribuisce in modo decisivo allo sviluppo della società ed è responsabile nella garanzia del diritto allo studio, noi studenti abbiamo il diritto e il dovere di chiedere che i nostri bisogni vengano soddisfatti, che le istituzioni accademiche e dello Stato si attivino per consentirci di studiare.

In questo contesto, il ruolo degli studenti della Facoltà di Giurisprudenza ha la sua peculiarità. Il diritto vive in rapporto con le modificazioni della società che si propone di regolare, in un costante rapporto dialettico tra la struttura socio-economica e la sovrastruttura normativa. Occorre studiare il diritto come risposta al divenire sociale, non come legge scritta sulla pietra e immutabile.
Aprendo l’anno accademico 1943/44 all’Università di Padova di cui era Rettore, Concetto Marchesi, grande latinista e padre della nostra Costituzione, disse sfidando l’occupante tedesco e i fascisti appena prima di entrare in clandestinità al fianco della Resistenza: “…cadono signorie, reami, assemblee che assumevano il titolo della perennità; ma perenne e irrevocabile è solo la forza e la potestà del popolo che lavora.”
Studiare il diritto significa avere ben presente questa realtà, essere coscienti che i giuristi non solo sono interpreti, ma anche artefici del cambiamento.

Benvenuti alla Facoltà di Giurisprudenza!

Domenica, 17 Ottobre 2010
Società e consumo: “Il capitalismo della seduzione” di Michel Clouscard

Proponiamo a seguire un estratto del Il capitalismo della seduzione (1981), opera del filosofo marxista francese Michel Clouscard (clicca qui per le note biografiche in francese). Ci pare che esso possa costituire un utile spunto di riflessione per analizzare e comprendere la cosiddetta “società dei consumi”. N.d.R.

Società e consumo: Potlatch. L’etnologia del piano Marshall

Tratto da “Il capitalismo della seduzione”
di Michel Clouscard

Non faremo altro che richiamare le caratteristiche del potlatch. Perché tutto il nostro libro non sarà che la dimostrazione che il consumo mondano – nascosto dietro la nozione ideologica di “società dei consumi” – non è che un potlatch. Potlatch della plusvalenza.
Il potlatch è una spesa voluttuaria che permette di stabilire la gerarchia sociale secondo il consumo. Lo studio del potlatch (della plusvalenza) permetterà quindi di completare la definizione delle classi sociali. E di contribuire ad apportare al marxismo il complemento necessario alle classificazioni già note, quelle del processo di produzione.
Proporre i fondamenti economici, sociologici, storici del potlatch equivarrà a definire l’intrusione del piano Marshall nella società tradizionale (in Francia). Il potlatch nasce dal piano Marshall. Il consumo borghese specifico del neo-capitalismo comincia con la penetrazione dell’imperialismo americano. L’americanizzazione della vita francese s’inaugura con il consumo dei surplusmade in USA.
Ma, come una certa modernità giovanile ha potuto dire: “Hitler? Non conosco”, l’intellettuale di sinistra, anche lui – soprattutto lui? – rischia di risponderci: “Piano Marshall? Non conosco: non se ne parla mai nel Nouvel Observateur” oppure: “Per definire la modernità, perché risalire così lontano nel tempo?” E in verità per quest’intellettuale la modernità, molto spesso, non comincia che dall’ultimo film alla moda. Il twist? Non lo conosco. Il reggae, sì. E la guerra della coca-cola? Era diventata un Società e consumo: conflitto nazionale. Aveva dato luogo a dibattiti appassionati all’Assemblea (l’Assemblea Nazionale, una delle camere del parlamento francese N.d.T.). Quale intellettuale di sinistra si ricorda di quella lotta contro un sin troppo evidente simbolo – allora – di penetrazione commerciale e ideologica?
Quest’amnesia programmata non fa che rivelare l’importanza di ciò che deve essere dimenticato. Il piano Marshall è l’atto etimologico della nostra modernità. Il suo ruolo è fondamentale. Nell’immediato dopoguerra, esso ha innestato un’economia dell’abbondanza su un’economia della carenza e della miseria. Ed ha innestato il modello culturale americano in una società tradizionale, rurale. Quest’acculturazione radicale ha autorizzato un fenomeno radicalmente nuovo: l’immanenza dell’economico e del culturale. Laddove nella società tradizionale, i due termini si collocano alla più grande distanza possibile e conservano un’autonomia relativamente certa, la modernità sarà l’immanenza dei loro rapporti d’espressione. La cultura sarà espressione dei bisogni ideologici del mercato. E’ la definizione della società civile, che Hegel aveva previsto e denunciato.
Altra grande amnesia dell’intellettuale di sinistra: il surplus, il commesso viaggiatore del piano Marshall. La straordinaria gamma dei surplus nell’abbigliamento, nei macchinari, negli alimenti, ecc. Questa dimenticanza si spiega in parte con la modernizzazione della boutique del surplus. Dapprima officina di un prodotto di tali rarità e stranezza da sostenere lo slancio dell’immaginazione e del desiderio, essa è divenuta il luogo stesso della banalizzazione della mercanzia, della mescolanza di mode e prodotti esotici. Questo processo di banalizzazione costituisce la procedura stessa dell’amnesia.
La strategia del piano Marshall – quella del surplus – rivela la natura stessa del potlatch … Definire il potlatch viene a mostrare la strategia di seduzione del piano Marshall.
La conquista del mercato sarà la svendita dei surplus, l’offerta fatta alla gioventù francese dei giochi del macchinismo. Il modo d’impiego della sovrabbondanza, del fittizio. E tutto il resto seguirà, inesorabilmente: l’UDR, la messa in campo del modello di produzione americano (disprezzato…da De Gaulle!).
Questi oggetti – del gioco capitalista: flipper, juke-box, poster – non sono surplus utilitari. Ma dei gadgets. Essi hanno una funzione economica precisa: sono incentivi all’acquisto. Sono stati il surplus pubblicitario del piano Marshall, come regali, come incentivi. Sono degli abbellimenti.
Il poster? L’immagine che si regala al figlio per ricompensare i genitori dei loro acquisti. La decolpevolizzazione dei consumi superiori ai mezzi della famiglia. E il figlio incita all’acquisto, per le immagini. Il padre e il figlio sono le due parti interessate dal piano Marshall. All’uno i surplus utilitari. All’altro i surplus ludici.
In premio, un supplemento d’anima. L’anima del surplus. L’uso del surplus: la ludicità del consumatore, il sogno americano.
Tutti questi gesti ludici saranno modi d’impiego per il buon uso del piano Marshall. Flipper, juke-box, poster iniziano alla civiltà americana del gesto facile, in quanto usi del surplus. Gesto ludico, da consumatore disinvolto che usa e getta: supplemento d’anima della paccottiglia che diventa culturale.
Vendersi per mangiare o vendersi per giocare: il piano Marshall ha entrambi i fini. Due addestramenti. Ma laddove l’indipendenza nazionale potrà essere riconquistata – simbolicamente, d’altra parte – quando il gollismo avrà messo in campo il capitalismo monopolista di Stato, il supplemento d’anima apportato dal piano Marshall sarà diventato il modello promozionale della mondanità giovanile.
I surplus utilitari sono regali. E regali dei regali: le macchine ludiche. Doppia offerta, doppio dono… dell’imperialismo americano: il pane e il gioco, l’utile e il dilettevole, l’oggetto e le sue modalità d’impiego, la macchina e il sogno americano.
L’introduziSocietà e consumo: one del piano Marshall (in Francia) autorizza la rottura con la società tradizionale. E’ l’accesso allo sperpero, simboleggiato dalla piccola offerta fatta alla macchina ludica, la monetina inserita nella fessura. Non c’è né atto d’acquisto né guadagno possibile, ma spesa ostentata per un consumo esclusivamente ludico.
Dunque, differenziazione e gerarchizzazione. Con la gente della III e IV Repubblica (periodo storico compreso tra il 1870 e il 1958, N.d.T.). Con un’ideologia dell’economia soldo per soldo, di piccoli risparmi. Ideologia della privazione (e anche del sacrificio). Morale del merito: il consumo non poteva che riguardare il frutto del lavoro.
L’onest’uomo si ricorderà indubbiamente, non avendo la memoria corta come quella degli arrivisti e dei cinici, di quei testi delle scuole elementari che insegnavano la codificazione della spesa. E la spesa del salario. L’uso del primo salario – dell’apprendista – era anche un rito. Il figlio consegnava fieramente e teneramente il denaro alla madre. Poiché mancava tutto, a cominciare in particolare dai beni fondamentali. A volte, certamente, il figlio usava il frutto del suo lavoro per qualche spesa personale: per comprarsi le scarpe, i vestiti. Si trattava di spese utilitarie.
L’onest’uomo alzerà le spalle con irritazione: “I tempi sono cambiati. Non è più lo stesso.” E’ appunto ciò che diciamo. Con le ragioni della differenza. Le quali può darsi non siano quelle addotte dall’onest’uomo. Ed ecco ciò che lo sconvolge. Ma noi non facciamo la morale; altro non facciamo che indicare delle procedure di consumo.
Quest’accesso a una simbolica dello sperpero è il primo momento dell’arrivismo, della promozione della nuova borghesia. Una nuova gerarchia – attraverso il consumo – è possibile. Attraverso un nuovo scambio simbolico.
Una monetina permette di esprimere il disdegno dei valori tradizionali e il disprezzo per i loro rappresentanti. Com’è facile e anonima questa provocazione! Basta far scivolare la moneta verso la nuova ideologia, verso la sua animazione macchinale.
Si inaugura così una forma di snobismo di massa. Attraverso l’appropriazione simbolica del nuovo consumo ludico e marginale. Straordinario potere totemico e simbolico: esso può snobbare la gerarchia stabilita dall’ideologia dell’economia, del valore, dei meriti, disprezzare la serietà di un diverso modo di produzione.
Questo scambio simbolico autorizza il capovolgimento dei valori: il ludico del neo-capitalismo denuncia il serio – della società tradizionale. E per fare ciò dispone del seguente alibi: questa serietà è – anche – quella della borghesia del capitalismo concorrenziale liberale. La promozione del ludico diventa così la denuncia dell’oppressione borghese!
Il primo venuto può offrirsi questo potlatch: sperperando – sperpero di cui il flipper, il juke-box, il poster sono i migliori simboli – può pretendere di mettersi al di sopra e al di fuori del denaro. Del potere tradizionale della borghesia: si autopromuove così nella nuova simbolica del consumo mondano.
Questa si rivela nella sua essenza: un uso. E non un avere. Il neo-capitalismo – rivoluzione delle Società e consumo: rivoluzioni, quella del liberismo – permetterà di godere senza avere. Il neo-capitalismo è questa strategia della seduzione, della sottomissione., che è conquista del mercato e pratica ideologica.
Ogni adolescente – l’ètà legale è di sedici anni – può accedere a questo rito iniziatico (prima, il suo desiderio deve maturare dietro al gelato). E’ il diritto di ogni cittadino.
E’ anche l’inversione radicale della sensibilità adolescenziale. L’apprendistato della vita non è più apprendistato del mestiere, ma apprendistato dello sperpero. (Apprendistato dell’uso simbolico. Impregnamento ideologico ben più che accesso ai mezzi reali della spesa.)
Ciò che è determinante, è la pedagogia del gioco e non quella del lavoro. Milioni di anni-luce separano la sensibilità dell’apprendista – quella della miseria operaia del capitalismo concorrenziale liberale – dalla sensibilità dell’adolescente apprendista del consumo libidico, ludico, marginale. Bisogna marcare in fretta il corpo dell’adolescenza. Prima che sia marcato dal processo del lavoro. Perché lo scambio simbolico – del consumatore – s’interponga inevitabilmente tra l’uomo e la sua produzione.
L’atto di rottura – storica – con la società tradizionale, si ripete – ora simbolicamente – a livello microrelazionale. Lo sperpero – flipper, juke-box, poster – significa ancora la stessa provocazione e la stessa promozione. Ma a livello della vita quotidiana, come radicale banalizzazione di usi consacrati.
L’ultimo beneficiario del potlatch, inaugurato dall’imperialismo americano, ripete il grande dramma macrosociale, la scena originaria del nostro campo socio-culturale: la conquista del nuovo mercato e l’annientamento della società tradizionale. L’atto etimologico, l’atto fondativo del sistema è rimesso in scena. Ma nell’indifferenza generale. Il pudico mantello della banalizzazione ricopre i significati ideologici. Cosa c’è di più inoffensivo di un juke-box? Cos’altro è più innocente di un giocatore di flipper? Gli usi di rottura – con la società tradizionale – e d’integrazione nei costumi del nuovo capitalismo – non costituiscono più un problema. Tutto è acquisito. Tutto sembra giocato. Apparentemente non c’è più opposizione. Inoltre chi si adombrerebbe per degli usi insignificanti? Chi intraprenderebbe una crociata mirante ad attaccare violentemente la banalità quotidiana?

(Traduzione dal francese di Alessio Arena)


Sabato, 16 Ottobre 2010
Consiglio di Facoltà: ODORE DI MUFFA

Consiglio di Facoltà: ODORE DI MUFFA Avvertenza: dopo lo scorso Consiglio di Facoltà, tenutosi mercoledì 13 ottobre, essendoci da comunicare di nuovo solo il pensionamento di una dozzina di docenti, cui auguriamo di cuore di godersi il meritato riposo e beneficiare dall’esterno del pietoso spettacolo della distruzione dell’Università italiana ad opera del Ministro Gelmini, ci pare più che mai d’attualità lo scritto che riproduciamo a seguire.

A.A.

di Sherry

Chi ha scritto questo breve racconto viene da un’università completamente diversa dalla nostra. Nell’interesse dell’ampliamento dei nostri orizzonti e per consentirci di confrontare la nostra esperienza con la sua, ha deciso di fornirci alcune suggestioni sulla propria vita di studente, conservando l’anonimato. Questa scelta è stata determinata dal desiderio di restare equidistante da tutti i lettori. Pur avendo amici tra gli studenti della Statale, desidera che anche loro si accostino ai suoi scritti come a quelli di un estraneo. A questo scopo ha scelto come pseudonimo “Sherry”, firma con la quale ci proporrà i suoi contributi.
Ogni riferimento a fatti o persone noti al lettore non è affatto da considerarsi casuale (NdR).

Ricevere la convocazione del Consiglio di Facoltà è un evento che, con cadenza mensile, riconforta il fortunato destinatario riguardo la sua appartenenza alla selezionata e privilegiata élite dei “rappresentanti” delle masse studentesche. Il tono della missiva è formale fin quasi alla deferenza, ossequiosa dimostrazione dello scrupoloso rispetto, da parte delle istituzioni accademiche, di quel solido metodo democratico che informa ormai da decenni la vita delle nostre facoltà e università.
Alla prima convocazione, il neoeletto rappresentante viene colto da una vertigine, mentre una vocina nella testa gli sussurra: “Finalmente hai gli strumenti per fare qualcosa… Ora che ci sei tu, si cambia musica!”
I primi dubbi non tardano però ad affacciarsi, quando l’occhio del nostro consigliere viene colpito dal curioso fiorire di asterischi e parentesi che punteggiano lo spazio di fianco all’elenco degli argomenti in cui si articola l’ordine del giorno della seduta. Seguendone le tracce, il nostro giunge al fondo della missiva e, sorpresa delle sorprese, si rende conto di essere escluso dalla discussione della metà dei punti in esame. “Insomma -sembra dire la missiva- sarai pure consigliere, ma il tuo consiglio non è richiesto (né gradito) su gran parte delle questioni più rilevanti.” Già lì, la fede del nostro nella solidità degli istituti democratici dell’Ateneo comincia a vacillare, soprattutto quando il consigliere in questione, bolscevico militante, è abituato a guardare con un certo scetticismo agli “amichevoli” tavoli di discussione in cui il conflitto viene stigmatizzato come la peggiore delle jatture e gran pacche sulle spalle, se non fisiche almeno verbali, suggellano il tono mellifluamente amichevole (ma che non riesce a celare la condiscendenza) con cui ti si rivolge quella che, a tutti gli effetti, è la controparte.
Finalmente giunge il giorno dell’adunanza: gli arcigni sembianti dei docenti, che fino ad allora erano apparsi al nostro solo trincerati dietro la barricata invalicabile di una cattedra, si trasformano davanti al suo occhio incredulo in volti distesi e aperti al sorriso, mentre le voci stentoree si assottigliano e si fanno sussurro in affabili saluti e convenevoli tra colleghi, dando forma al multiforme fiorire di motti d’arguzia e rassegnati commenti sulle più impietose sfaccettature dell’amaro calice servito giorno dopo giorno al desco del docente ordinario.
La discussione ha inizio. Le componenti studentesche si sparpagliano per la sala, alcune avvolte in una nube di italico sopore, altre trasudando un sentore incerto, un po’ a metà tra odor di zolfo e vapori d’acqua santa. Non si può negare, però, che abbiano tutte qualcosa in comune: l’aria vagamente frastornata di fronte al vorticoso avvicendarsi di argomenti di cui sono totalmente ignare e riguardo i quali non vi sono quindi margini d’intervento possibili.
Fino a che, ecco: una questione d’interesse per gli studenti si affaccia alla discussione. Il nostro consigliere si affretta a intervenire, propone, argomenta, questiona incontrando gli sguardi attenti dell’uditorio. Qui e lì gli pare di scorgere persino qualche cenno di assenso e per un momento, solo per un momento, gli pare di aver impresso una svolta al corso della discussione. Intendiamoci: non che questo non si verifichi mai, ma per lo più, ritornando al posto tra la sussurrata approvazione dei più progressisti tra i presenti, il nostro viene assalito dalla netta sensazione, che presto si tramuta in certezza, del rapido degradare verso il dimenticatoio delle sue argomentazioni, in una seduta il cui ritmo è parso solo per un istante alterarsi, per poi riprendere come prima.
“Per fortuna -pensa il nostro consigliere- che sono venuto preparato!” E si convince ancora di più che esserci, nel CdF, è sì un bene, ma solo se gli studenti hanno bene in mente che è con la partecipazione diretta che si difendono i loro diritti e che, senza la il loro coinvolgimento, la voce istituzionale dei loro “rappresentanti” si perde, dissolvendosi come un’eco nell’aria pregna dell’odore della muffa di un’aula accademica.


Sabato, 02 Ottobre 2010
E’ scomparso Raffaele De Grada, critico d’arte, partigiano, comunista

L’Associazione Démos – Studenti Comunisti è in lutto per la morte del compagno Raffaele De Grada, critico d’arte, partigiano combattente e comunista. Da lui abbiamo appreso molto, umanamente e politicamente. Ci resteranno per sempre, nel ricordo, la sua disponibilità, la sua persveranza, la sincerità del suo impegno rivoluzionario che non conosceva tregua.
Ciao Raffaelino!

Le esequie si svolgeranno LUNEDI’ 4 Ottobre 2010 alle ore 11,00 presso l’Accademia di Brera.

E’ scomparso Raffaele De Grada, critico d’arte, partigiano, comunista
Raffaelino De Grada (diminutivo che lo distingue dal padre, noto pittore del Novecento italiano) è nato a Zurigo nel 1916.
Rientrata in Italia la famiglia, De Grada inizia gli studi a San Giminiano, proseguendoli poi a Firenze e a Milano, ove si laurea nel 1939, allievo di Antonio Banfi e Matteo Marangoni.
Dal 1935 pubblica saggi e scritti d’arte sulle principali riviste del tempo e nel 1938, con un gruppo di giovani intellettuali milanesi, fonda “Corrente”, rivista di espressione culturale antifascista.
Arrestato per attività politica contro il regime nel 1938 e nel 1943, mobilitato in Sicilia nel 1941, dopo l’8 settembre 1943 organizza con Pajetta e Curiel il Fronte della Gioventù, prima in Lombardia poi in Toscana, dove assume il comando militare della Brigata Partigiana del Fronte per la Liberazione di Firenze.
Commentatore politico e dirigente Rai, è la prima voce di Radio Milano dopo la Liberazione il 27 aprile 1945.
Dirige il Giornale Radio del Nord Italia sino al 1949, è nominato consigliere di amministrazione della Rai e svolge per anni il ruolo di critico d’arte alla radio.
Dal 1949 al 1951 è a Parigi, segretario italiano del Comitato Mondiale dei Partigiani della Pace, ed è tra i primi firmatari dell’appello di Stoccolma contro la bomba atomica.
Eletto al Consiglio comunale di Milano dal 1946 nelle liste del Partito Comunista Italiano, lascia l’incarico nel 1959, allorchè viene eletto deputato al Parlamento italiano.
Rientra nel Consiglio comunale di Milano dal 1975 al 1985. Dal 1985 al 1999, eletto nelle liste di Democrazia Proletaria, è consigliere alla Provincia di Milano.
Dal 1965 al 1986 è titolare della Cattedra di Storia dell’Arte all’Accademia di Brera.
Dal 1971 al 1976 dirige l’Accademia e la Pinacoteca Comunale di Ravenna. Dal 1989 al 2000 dirige l’Accademia di Arte e Restauro Aldo Galli di Como.
Membro dell’esecutivo dell’Ente Manifestazioni Milanesi, della Commissione Artistica della Biennale di Venezia dal 1975 al 1980, Consigliere della Scala di Milano, consigliere del Museo Poldi Pezzoli di Milano, ha organizzato e curato grandi mostre di analisi storica e critica a partire dagli anni cinquanta.
Direttore delle riviste “Il ‘45” e “Realismo”, ha collaborato con importanti testate nazionali e tuttora scrive per le pagine del “Corriere della Sera”.
Ha scritto saggi fondamentali nella storia dell’arte moderna, tra cui Boccioni, L’Ottocento italiano, L’Ottocento, quattro volumi di storia dell’arte per i licei,Boldini, I Macchiaioli
Nel 2000 ha pubblicato La grande stagione (Anthelios Edizioni), prima parte del suo percorso autobiografico. Panta rei ne è la logica continuazione.

(tratto dall’ultima pagina del libro Panta Rei – R. De Grada – Silvana Editoriale, 2006)


Venerdì, 20 Agosto 2010
Giurisprudenza: un bilancio e auspici per l’anno che inizia

L’anno accademico scorso ha segnato l’inizio di un’inedita esperienza di parecipazione dei comunisti al Consiglio della Facoltà di Giurisprudenza. Per la prima volta da molto tempo, i voti ci hanno consegnato una rappresentanza in quell’organismo, e con essa la responsabilità di dar luogo a una pratica politica capace di sfruttare i margini d’incisività lì consentiti.
Lo abbiamo fatto anzitutto attraverso la trasparenza. Ogni passaggio del lavoro istituzionale svolto è rintracciabile sul nostro blog(giuridemos.splinder.com), che in pochi mesi ha ecceduto le duemila visite, diventando uno strumento utile d’informazione e partecipazione.
Tra le sue pagine si può trovare la testimonianza del nostro metodo di lavoro, del nostro impegno e delle nostre priorità.
Nel lavoro in CdF abbiamo anzitutto rifiutato la mistica della “rappresentanza”, del luogo istituzionale come epicentro della partecipazione.Crediamo che il progresso della nostra Università e il miglioramento delle nostre condizioni di studio vivano altrove, nell’iniziativa degli studenti che s’informano, si organizzano e lottano per incidere nella realtà accademica. Per questo motivo, ogni iniziativa intrapresa nel CdF è stata accompagnata dall’informazione più capillare possibile tra il corpo studentesco. Ne è un esempio la nostra ferma opposizione all’introduzione del test d’ingresso per gli studenti con un voto di maturità inferiore ai 70/100 (il cosiddetto “Progetto Verjus”), che ci ha visti giungere a rifiutare la parecipazione alla commissione attuativa e dar luogo a un volantinaggiofinalizzato ad informare gli studenti dell’introduzione del test, delle sue motivazioni, delle ragioni della nostra contrarietà e delle nostre proposte in merito.
Abbiamo inoltre utilizzato la nostra posizione nel CdF per aprire il dibattito sulla condizione di chi studia e lavora, portando le risposte del Preside a conoscenza degli studenti tramite A piena voce e predisponendo unquestionario che, per la prima volta, consentirà di analizzare il fenomeno e passare dalla discussione astratta alla definizione di proposte concrete per alleviare i disagi che comporta. Per la diffuzione del questionario, che sarà compilabile online sul sito http://www.studentilavoratori.net, abbiamo chiesto e ottenuto dal CdF il sostegno della Facoltà, facendo di questo passaggio un ulteriore momento di riflessione e dibattito.
Con noi, la vita reale degli studenti della Facoltà è entrata in CdF in ogni occasione possibile e in tutte le sue sfaccettature. Accanto all’attenzione costante ai problemi materiali, abbiamo difeso anche il diritto di tutti noi di vivere in un ambiente accademico che si attivi contro ogni forma di squadrismo, razzismo e intolleranza. Abbiamo quindi denunciato il clima di provocazione che alcune organizzazioni di estrema destra, di chiara o velata ispirazione fascista, hanno tentato di creare nei locali dell’Università, richiamando l’attenzione di tutti sulla necessità della vigilanza. In questo senso siamo stati i più perseveranti nel creare occasioni di unità tra le organizzazioni d’ispirazione democratica degli studenti, nel dialogo con docenti, ricercatori e personale amministrativo.
Chi scrive ha garantito, come unico consigliere di facoltà di Démos, unapresenza costante in quasi tutte le sessioni degli organismi della Facoltà, rendendo possibile la rappresentazione, in quelle sedi, dell’elaborazione comune e delle idee di un collettivo di lavoro impegnato a costruire la partecipazione studentesca a tutti i livelli.
L’auspicio è che il nuovo anno accademico veda questo lavoro dare i frutti sperati. Ne sottoponiamo modalità e risultati agli studenti con fiducia, certi che molti vorranno supportarci nella sua prosecuzione.


Venerdì, 20 Agosto 2010
Addio a Luis Corvalán

di Alessio Arena

Luis Corvalán è morto. Il movimento comunista internazionale perde uno dei suoi simboli, un’icona della sua grandezza e dignità. Malgrado le persecuzioni e le torture, Corvalán è vissuto fino alla pienezza del suo tempo, spegnendosi il 21 luglio scorso all’età di 93 anni, circondato dall’ammirazione e dall’affetto dei militanti del suo Partito, il Partito Comunista del Cile, di cui è stato a lungo segretario.
Sotto la sua guida, il Pc cileno ha attraversato la troppo breve stagione di speranza apertasi con l’elezione di Salvador Allende alla presidenza della Repubblica e interrottasi nel 1973, con il colpo di stato militare scatenato dal generale Augusto Pinochet su ordine della “grande democrazia” statunitense, che fece sprofondare per vent’anni il Cile nell’oscurità di una barbarie fatta di torture, omicidi e indicibili sofferenze per un popolo ridotto alla fame e al silenzio.
Incarcerato e torturato dal regime, poi liberato in seguito a trattative svolte dal governo sovietico, Corvalán visse per lunghi anni in esilio, prima di rimpatriare clandestinamente per continuare la lotta di tutta la sua vita per il socialismo e la libertà.
Se dovessimo dire cosa Corvalán ci abbia lasciato in eredità, diremmo innanzitutto che il suo esempio ci parla di come la trasformazione sociale cominci in ogni singolo individuo che lotta, progredisce, migliora sé stesso per contribuire a far grande l’umanità. E’ questo l’insegnamento che ci viene dall’esempio di un uomo che ha saputo essere così profondamente nuovo, così capace di parlarci di un futuro migliore.
Nel prendere commiato dal nostro compagno, ne associamo la memoria a quella di un’altra grande combattente della sua terra australe, Gladys Marín , segretaria comunista cilena dopo di lui, spentasi in età ancor giovane per un tumore dopo una vita esemplare di lotte, nel 2005.
Compatriota e compagno di lotta di Corvalán , Pablo Neruda ha scritto, indirizzandosi al Partito: “Mi hai reso indistruttibile, perché con te non finisco in me stesso.” Per questo motivo ci sentiamo di dire che Corvalán non è morto, senza che ciò ci paia retorica. Perché per noi dirlo non è una formula elegiaca; è il senso del nostro impegno.


Martedì, 01 Giugno 2010
Neocolonialismo europeo in Africa: una breve analisi dalla Francia

Pubblichiamo la traduzione di un corsivo apparso il 31 maggio sul giornale francese l’Humanité. L’aricolo prende le mosse dall’imminenza del vertice franco-africano organizzato dal presidente francese Sarkozy a Nizza in questi giorni, per proporre una riflessione sul volto spietato del neocolonialismo alla francese. A noi spetta sottolineare che, nel silenzio assordante dell’opinione pubblica e dei mezzi di comunicazione, anche l’Italia conduce la propria politica di sfruttamento neocoloniale, nei Balcani come in Africa. Sarà nostra cura tentare di dedicarvi al più presto un approfondimento (N.d.A.).

di Jean-Paul Piérot (su l’Humanité n. 20390, Lunedì 31 maggio 2010)

Mezzo secolo dopo le indipendenze africane, la dottrina ufficiale delle relazioni tra la Francia e i popoli assoggettati per secoli al colonialismo francese ha trovato la propria espressione più chiara nel tristemente famoso discorso di Dakar. In luglio 2007, appena eletto, Nicolas Sarkozy esprimeva considerazioni di spregio nei confronti de “l’uomo africano che è stato incapace – osava dire il Capo dello Stato – di proiettarsi nella storia”. Il discorso è stato accolto come un insulto da tutti gli intellettuali africani. Esso riassumeva l’opinione della vecchia destra, erede dei carnefici e dei profittatori, di tutti coloro che hanno prosperato sul saccheggio delle ricchezze del continente e sullo sfruttamento degli uomini e delle donne d’Africa. Così gli africani non sarebbero entrati nella storia? Oltre alla prostrante ignoranza del passato che rivela, il discorso di Dakar faceva sparire i crimini contro l’umanità di cui si è reso colpevole il colonialismo. Milioni di uomini, donne e bambini furono asserviti, massacrati, deportati, venduti ai piantatori di canna da zucchero nei possedimenti dele Antille. Lungi dall’aver contribuito allo sviluppo dell’Africa, come non hanno cessato di ripetere i nostalgici dei bei vecchi tempi delle colonie, questa lunga notte ha ritardato lo sviluppo del continente. L’Africa d’oggi porta ancora il marchio a fuoco della schiavitù come una profonda e durevole cicatrice.
Il neocolonialismo, ovvero la prosecuzione della dominazione dell’antica potenza coloniale dopo la formazione di stati formalmente indipendenti, ha preso la forma di una leadership occulta, opaca e poco attenta alla democrazia. Dall’epoca gollista, quando tutti i paesi del cortile francese si allinearono a Parigi, con la sola eccezione della Guinea, agli anni di Mitterand, quando la Françafique partorì il genocidio in Ruanda[2], la dominazione postcoloniale commise altri crimini, ostacolò lo sviluppo autonomo delle giovani repubbliche africane e favorì, per l’infelicità dei loro popoli, diversi presidenti-dittatori, in realtà veri e propri proconsoli dell’impero. I Mobutu, Bongo, Eyadema[3] furono così imposti dopo aver ricevuto l’investitura dagli uomini dell’Eliseo. Molti di images381loro figureranno nella “foto di famiglia” del summit di Nizza. Vi si parlerà dottamente di governance, si indicherà la via che Parigi desidera veder applicata: favorire la riconquista del continente da parte delle grandi società private nel contesto di guerra economica cui si dedicano le multinazionali su un continente africano ove tante infrastrutture devono essere urgentemente messe in cantiere.
I cosiddetti “obiettivi del Millennio” che l’ONU ha fissato alla “comunità internazionale” per far arretrare la miseria, la fame, la mortalità infantile e materna, per la distribuzione dell’acqua e dell’energia, non sono rispettati dagli Stati più ricchi, così avari in materia di aiuti allo sviluppo. Quando la crisi finanziaria ha avuto il suo inizio col fallimento di Leyman Brothers, in settembre 2008, la sessione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite fu occupata dall’agitazione del presidente francese sulla moralizzazione del capitalismo, a scapito dell’aiuto allo sviluppo. Oggi, Nicolas Sarkozy pone l’accento sull’aiuto al settore privato. Nel capitalismo in crisi, tutto fa brodo: lo sviluppo di un continente maltrattato dalla dominazione coloniale promette dei lauti profitti per i coloni del CAC 40.

[1] L’indice borsistico CAC 40, che prende nome dal primo sistema di automazione della Borsa di Parigi, la Cotation Assistée en Continu (Quotazione continuamente assistita), è il principale indice di borsa francese, equivalente all’indice MIB della borsa di Milano.

[2]Genocidio di circa un milione di persone di etinia Tutsi e Hutu moderati, compiuto dalle milizie Hutu del Ruanda nei 1994. Pesante fu il coinvolgimento della Francia, allora guidata dal Presidente socialista François Mitterand.

[3] Presidenti-dittatori appoggiati dalla Francia rispettivamente nella Repubblica Democratica del Congo, in Gabon e nel Togo.


Domenica, 16 Maggio 2010
Dal CdF del 12 maggio: crediti di lingua straniera, questionario online e antifascismo

Dal CdF del 12 maggio: crediti di ligua straniera, questionario online e antifascismoTre sono stati i punti d’interesse per gli studenti, tra quelli trattati nella seduta del CdF di mercoledì 12 maggio.

In primo luogo è stato definito finalmente un trattamento omogeneo per tutti i corsi in lingua inglese organizzati dalla Facoltà, riguardo all’attribuzione dei tre crediti di lingua straniera. Il CdF ha votato a maggioranza il loro automatico riconoscimento a chi frequenterà i corsi in lingua inglese, sostenendo con successo l’esame in lingua straniera. Il risultato della votazione, che si deve al prevalere tra i docenti della considerazione in merito alla logicità del riconoscimento della conoscenza della lingua straniera giuridica a seguito del sostenimento di un esame di materia giuridica in lingua inglese, ha visto il concorso, in sede di votazione, di tutte le componenti della rappresentanza studentesca presenti (completamente assente era solo la delegazione di Azione Universitaria), che hanno votato a favore del nuovo regime.
Démos U.C. ha richiesto, sia in Commissione didattica che in CdF, che il nuovo regime sia esteso a tutti i corsi organizzati nelle lingue per cui è previsto l’esame di accertamento presso la Facoltà (oltre all’inglese, anche francese, tedesco e spagnolo).

Il Cdf ha poi accordato il proprio sostegno alla diffuzione del questionario online che Démos U.C. si accinge a promuovere per dar luogo a una maggiore conoscenza della realtà e dei problemi degli studenti lavoratori. Il questionario, che abbraccia tutte le tematiche connesse alle difficoltà del contemperare lo studio con l’attività lavorativa, rappresenterà il primo studio del genere condotto nel nostro Ateneoe contribuirà a sviluppare quella conoscenza scientifica delle problematiche concrete necessaria per formulare proposte utili alla loro soluzione sia in Facoltà che a livello più alto.

Démos ha inoltre sollevato il problema della crescente attività di gruppi neofascisti e di estrema destra nei locali dell’Università. Tale attività si congretizza nella ripetuta comparsa di scritte a sfondo razzista e violento sui muri delle sedi accademiche, quando non in veri e propri atti di aggressione. Il CdF ha preso atto della nostra denuncia, accogliendo l’invito a innalzare il livello di vigilanza contro ogni episodio di violenza, intolleranza, razzismo e omofobia.

Alessio Arena


Domenica, 16 Maggio 2010
STUDENTI LAVORATORI

di Valentina Menardo*

Far conciliare lavoro e studio? Impresa ardua. Eppure molti studenti per ragioni differenti si vedono costretti a dividersi tra il lavoro e lo studio. Una realtà sentita e vissuta, ma che sino ad ora non ha interessato chi sarebbe potuto intervenire in modo risolutivo. Nonostante lo studio sia riconosciuto come diritto dalla Costituzione all’articolo 34 e nonostante l’art. 10 dello statuto dei lavoratori stabilisca l’applicazione di questo diritto nel campo lavorativo (ponendo misure d’incoraggiamento e di agevolazione per quei lavoratori che sono anche studenti), questo connubio tra le due disposizioniresta comunque di scarsa applicazione.
E’ evidente, infatti, che al momento non esistono facilitazioni fruibili per seguire le lezioni o i seminari, che si tengono in orari ed in giorni lavorativi solamente, e non esiste nemmeno la stessa agevolazione che spetta agli studenti frequentanti (mediante firma di convalida della presenza) di poter ridurre la quantità di libri per l’esame o di poterlo dividere in più parti, con degli scritti parziali.
Bisognerebbe, semplicemente, garantire a tutti gli studenti gli stessi diritti, o almeno delle politiche di agevolazione per chi non può essere solo studente.
Ruolo primario sarà quello delle Università, che dovranno analizzare il caso epromuovere soluzioni per assicurare eguali diritti agli studenti, tutelando e non discriminando chi vive una realtà “doppia”.
Ruolo non indifferente potrebbe anche avere il Ministro dell‘istruzione, se non fosseimpegnato a rafforzare il carattere elitario del diritto allo studio e a scardinare la vera essenza delle istituzioni scolastiche. Una linea politica nettamente agli antipodi rispetto a quella di uno sviluppo cosciente e di superamento delle difficoltà vissute quotidianamente dagli studenti degli atenei italiani.
Essere in uno Stato in cui avere medesimi diritti e garanzie è superfluo, vuol dire essere arrivati al punto in cui bisogna scegliere tra soccombere o reagire, tra accettare tutto ciò o respingerlo con decisione, per riappropriarsi del diritto allo studionella sua accezione più ampia.

* studentessa lavoratrice, Facoltà di Giurisprudenza


Domenica, 16 Maggio 2010
Aggressione fascista contro uno studente di Lettere e Filosofia

Pubblichiamo integralmente la lettera inviata agli studenti dai nostri compagni della Facoltà di Lettere e Filosofia, in occasione dell’aggressione ai danni di uno studente della loro facoltà da parte di un esponente di un gruppo politico universitario di destra.
Segnaliamo che, in seguito ai fatti e all’intervento di Démos U.C., la manifestazione di estrema destra prevista per il 26 maggio e annunciata sulle mailing lists di Lettere e Filosofia e Scienze politiche, non avrà luogo.

All’attenzione degli studenti,

questa mail non riguarda il pur divertente fatto accaduto nell’atrio dell’Aula Magna, dove un candidato al CNSU di una lista di centrodestra si è praticamente autodenunciato postando su Youtube un video che lo riprendeva giocare a calcio coi compagni di lista. Infatti, dopo aver contribuito a creare un precedente condannando la famosa partita nel chiostro del Filarete (almeno lontana da vetri e materiali fragili e costosi) di cui costoro sono stati tra i più intransigenti sostenitori dei provvedimenti disciplinari, i suddetti studenti (così come riportato anche da un articolo de La Repubblica) hanno incompresibilmente voluto mettere il rettore e la commissione disciplinare di fronte ad un fatto oltremodo imbarazzante: una partita a calcio non autorizzata in luogo istituzionale (situazione in precedenza già punita con le sospensioni!).
Fatto che, con il precedente creatosi, risulta non soprassedibile; pena, per le istituzioni accademiche, subire l’accusa di incoerenza o di faziosità.
Infatti speriamo che la soluzione punitiva adottata sarà simile a quella già adottata in precedenza per altri studenti, cioè la sospensione.
Veramente divertente… e pochi giorni prima delle elezioni… spassoso!

Il fatto veramente grave, di cui vogliamo qui occuparci, è che in data 11 maggio 2010 in Statale, un italico-padano virgulto del MUP, il gruppo studentesco vicino alla lega e fortemente infiltrato da elementi di forza nuova, sembrerebbe aver aggredito uno studente della statale al grido di “comunista di m….a, io ti ammazzo!”. Lo studente sembra abbia ricevuto minacce da parte di questo ominide già il giorno prima.
Purtroppo, il casuale arrivo in loco dei Presidi delle facoltà di Lettere e Filosofia e Giurisprudenza è avvenuto dopo l’atto pugilistico, durante la discussione successiva.
Nell’alterco, il suddetto ominide ha tentato di sostenere di essere stato insultato senza aver reagito. L’aggressore ha poi ripetutamente negato la propria appartenenza politica, non senza contraddirsi a questo proposito mano a mano che la discussione procedeva. I presidi stessi hanno potuto constatare la tumefazione all’occhio destro dello studente aggredito, la quale, se non prova la dinamica dei fatti, esclude la possibilità che il ricorso alla violenza sia stato reciproco.
All’aggressione sembrerebbe abbiano assistito due studenti che si sono intromessi per dirimere la questione, che invitiamo a farsi avanti per contribuire a far chiarezzasui fatti.

Dato che un nostro consigliere di facoltà ha già assistito ad un evento simile incui era coinvolto lo stesso individuo nel medesimo ruolo di picchiatore fascista nei confronti di uno studente sulle scale della biblioteca centrale (li presenti diversi testimoni, tra i quali il consigliere di facoltà del MUP di Scienze politiche) e dato che sempre col nostro consigliere sono avvenuti screzi durante la raccolta firme per presentare le liste alle scorse elezioni, non facciamo fatica a credere alla versione data dallo studente picchiato, vista la oramai comprovata, reiterata e testimoniata violenza dell’ominide in questione.

A destare inquietudine è che questo avvenimento capiti proprio dopo una mail inoltrata dal MUP alle mailing list delle facoltà di lettere e filosofia e scienze politiche, che annunciava l’organizzazione di una parata di diversi gruppi indipendentisti in università con, come riferimento, quel Bobby Sands, irlandese appartenente all’IRA incarcerato dal governo inglese e morto in carcere durantelo sciopero della fame del 1981. Tralasciando il fatto che la storia dell’Irlanda è ben diversa da quella della padania (una nazione invasa dall’inghilterra, la prima; l’invenzione truffaldina dai contorni indefiniti di un partito politico xenofobo, la seconda) e a parte che Bobby Sands, antifascista e antirazzista, si rivolterebbe nella tomba ad essere accomunato a certi individui date connotazioni politiche ben diverse, segnaliamo che alcuni gruppi politici secessionisti esteri invitati all’iniziativa leghista, altro non sono se non formazioni politiche dell’estrema destra fascista e razzista. Gruppi che organizzeranno una parata fascista proprio nel nostro Ateneo.

Noi dell’Associazione Dèmos denunciamo il fatto e chiediamo che vengano presi dei provvedimenti esemplari, dato che non è tollerabile che un militante politico assalga fisicamente studenti più o meno dissidenti dalle sue idee.
Denunciamo inoltre quali “elementi” siano presenti nel gruppo studentesco del MUP e chiediamo che le autorità accademiche vigilino sulle modalità di azione di questo movimento politico all’interno dell’Università e tra gli studenti.

Se non si porrà argine a questi gravi fatti di violenza a sfondo politico e non si riprenderà coscienza di chi sono e dove sono i fascisti, noi studenti dovremo mettere in preventivo di assistere ancora a eventidi questa gravità; o di esserne vittime nel momento in cui saremo noi, i dissidenti in questione.
Cogliamo l’occasione per esprimere tutta la nostra solidarietà allo studente colpito, augurandogli di rimettersi al più presto.

Concludiamo con una frase di Bobby Sands che consideriamo emblematica ed opportuna:

“Ero soltanto un ragazzo della working class proveniente da un ghetto nazionalista, ma è la repressione che crea lo spirito rivoluzionario della libertà. Io non mi fermerò fino a quando non realizzerò la liberazione del mio paese, fino a che l’Irlanda non diventerà una, sovrana, indipendente, repubblica socialista”.

P.S. : all’atto dell’invio della presente mail, veniamo a conoscenza dell’annullamento della manifestazione di cui sopra. Ciò non può che rallegrarciper le considerazioni già espresse ed apprezziamo la responsabilità del gesto, sicuramente volta ad evitare inutili ulteriori tensioni.

Associazione Dèmos U.C.


Mercoledì, 12 Maggio 2010
COLPO DI CODA DELL’IMPERIALISMO STELLE E STRISCE

di Flavio Agosti

Dopo un paio di anni passati all’insegna della “crisi” formalmente causata dal fallimento della Lehman Brothers, assistiamo alla sfrontatezza di coloro che hanno condannato l’economia mondiale alla recessione.
Parlo della agenzia di rating Standard& Poor’s che ha declassato il debito pubblico di Spagna e Portogallo, gettando questi due Paesi sull’orlo dell’abisso dopo aver fatto praticamente “fallire” la Grecia.
Laddove dovevano realmente segnalare un alto livello di rischio, proprio della Lehman Brothers, avevano invece “generosamente” regalato il massimo livello di affidabilità, lasciando spazio agli squali dell’alta finanza il compito di lucrare sulla vita delle persone di tutto il mondo.
Vogliamo parlare di come molti lavoratori si sono salvati la pensione ( il tfr ) lasciando in azienda il proprio capitale al posto che investirlo in fantomatiche e accattivanti “pensioni integrative”?
Siamo davvero arrivati alla frutta se permettiamo che il destino di Paesi europei sia in balìa di privati speculatori.
L’orgoglio dell’Europa (che è stata culla delle dottrine comuniste e socialiste) non può permettere che Paesi interi, nazioni di nostri “concittadini” vengano messe allo sbando da una banda di mercenari.
Aggiungo rispetto alle notizie ormai vecchie del declassamento del debito greco ( e con le conseguenze ben note) che dopo Spagna e Portogallo è stata la volta del nostro paese subire un attacco bello e buono, salvo poi una “correzione” o “smentita” che dir si voglia da parte di Moody’s….
Tutti questi segnali ci devono far riflettere che le tre agenzie di rating sono tutte americane; tutte queste agenzie non hanno mai svolto bene il loro compito e infatti abbiamo visto e subito le conseguenze sui mercati mondiali.
Tutto il mondo ha potuto vedere e toccare con mano il FALLIMENTO del sistema capitalistico e delle pericolose deviazioni che negli ultimi anni si sono verificate.
E’ sotto gli occhi di tutti il dovere di fare un cambiamento epocale altrimenti ben presto dell’Europa non si salveranno che Francia e Germania e ogni parvenza di fratellanza in chiave europeista e non solo sarà vista soltanto come un lontano miraggio ottenibile solamente con soprusi nei confronti dei lavoratori, disoccupazione, tasse alle stelle e un peggioramento delle condizioni di vita per le quali, vorrei ribadire, uomini e donne di tutto il mondo ( e soprattutto europei )hanno combattuto a sprezzo della loro vita..sto parlando non di eroi ma di semplici persone che nel momento della chiamata hanno risposto presente nel combattere gli autoritarismi del mezzo secolo scorso. Sto parlando di tutti i partigiani e di tutti i combattenti per la libertà.

Venerdì, 07 Maggio 2010
ELEZIONI DEL CNSU: LA NOSTRA POSIZIONE

di Alessio Arena

Come noto, Démos U.C. non è impegnata nella campagna elettorale in corso per l’elezione del Consiglio Nazionale Studenti Universitari (CNSU). E’ bene cominciare con il chiarirne i motivi.

Démos è nata come esperimento di autonomia politica e organizzativa dei comunisti tra gli studenti. Questa scelta strategica è la ragione stessa della nostra esistenza e si sostanzia nella lotta quotidiana per dar corpo, attraverso l’analisi di classe della società e la costruzione della partecipazione diretta degli studenti alla vita della comunità accademica e all’elaborazione delle risposte ai loro bisogni materiali, di un organico e completo progetto di trasformazione dell’Università, inteso come contributo al più vasto movimento per la costruzione di una società nuova. E’ assolutamente evidente come non vi siano, in questa tornata elettorale, liste che possano corrispondere a questa impostazione politica e a questo progetto.

Occorre aggiungere un altro elemento: la nostra critica radicale al CNSU come strumento istituzionale di reale utilità per la difesa del diritto allo studio. Istituito presso il Ministero, il CNSU è un organismo puramente consultivo, che esprime pareri assolutamente non vincolanti sui vari provvedimenti adottati. In altre parole, si tratta di un organismo fantoccio, creato al solo scopo di fornire agli studenti una falsa impressione di partecipazione a processi decisionali che invece non sono assolutamente influenzabili attraverso canali “istituzionali”.

Neghiamo dunque aprioristicamente l’utilità di presentare liste alle elezioni per il CNSU? No. Per quanto irrilevante sul piano istituzionale, il CNSU rappresenta potenzialmente un canale di comunicazione con la generalità degli studenti, una tribuna tramite la quale accelerare il lavoro di costruzione di una nuova organizzazione unitaria degli studenti che si riconoscono nella teoria e nella prassi comuniste e un amplificatore per le posizioni politiche espresse dal movimento di lotta che ne deriverebbe.

E’ del tutto evidente che un simile utilizzo della presenza nel CNSU presupponga la presentazione di una lista autonoma dei comunistiorganizzata su scala nazionale, dotata di un programma elettorale e di un progetto riconoscibili da sottoporre in modo trasparente agli studenti chiamati alle urne.

Per questa soluzione Démos si è espressa nei contatti intrapresi con tutte le organizzazioni della sinistra anticapitalista coinvolte nella fase della definizione delle liste elettorali, senza però riuscire a raggiungere il risultato voluto. Ne consegue, da parte nostra, l’impossibilità di esprimere un’indicazione di voto. A chi si sente vicino alle nostre posizioni resta la scelta tra l’astensione, l’annullamento della scheda o il sostegno a quei candidati che, nelle liste dell’UDU, esprimano posizioni avanzate e chiaramente connotate a sinistra.

La lotta per la strutturazione di un’autonoma presenza comunista nelle università continua come sempre. Sarà una nostra priorità rilanciarla con ancora più forza a partire dal giorno successivo alle elezioni.

Analisi dei programmi delle forze in campo

Fatta la necessaria premessa circa la nostra collocazione, ci pare comunque necessario fornire ai nostri lettori alcuni stimoli utili a chiarirsi le idee circa i programmi elettorali distribuiti in questi giorni nei locali della nostra Università e, conseguentemente, a compiere più coscientemente una scelta il giorno del voto.

Parliamo di programmi elettorali, perché va detto che di progetti complessivi di trasformazione dell’Università non se ne è visti. Chi ce li ha (in particolare Obiettivo Studenti, lista controllata da Comunione e Liberazione) si cura bene di dissimularli, nascondendo dietro frasi allusive e mezze verità una concezione dell’accesso al sapere i cui assi portanti sono la privatizzazione e la subordinazione alle logiche di mercato.

Viceversa l’UDU rappresenta un coacerbo differenziatissimo di posizioni, risultato del suo essere lista che coalizza realtà eterogenee, riconducibili il più delle volte – con poche apprezzabili eccezioni – all’area culturale e politica facente riferimento al Partito Democratico.

Ne consegue che agli studenti della nostra Università non venga distribuito un programma unitario della lista, ma invece il programma individuale della candidata espressione delle maggiori liste moderate e riformiste delle università milanesi (Sinistra Universitaria da noi): Sara Capasso, senatrice accademica dell’Università Bicocca per “Liste di Sinistra”. Sarà dunque il suo programma elettorale in particolare che analizzeremo, cercando di evidenziare e spiegare in modo esauriente le ragioni del nostro radicale dissenso.

Obiettivo Studenti: l’Università secondo Formigoni

Riguardo al programma della lista facente capo a Comunione e Liberazione, ci limiteremo ad evidenziare solo due passaggi che ci paiono rivelatori del sottaciuto progetto complessivo cui prima facevamo accenno.

In tema di Associazioni studentesche: un protagonismo da sostenere, il lussuoso pieghevole distribuito da OS recita: “…continueremo a sostenere il protagonismo di tutti gli studenti, singoli e associati, nella logica del principio disussidiarietà.” Siamo qui in presenza del principale caposaldo del progetto egemonico portato avanti da Comunione e Liberazione in tutti gli ambiti della vita sociale e istituzionale, ovvero l’arretramento del pubblico per permettere il subentrare di organizzazioni private, sovvenzionate con denaro pubblico, nell’erogazione di servizi d’interesse generale. E’ stato proprio il principio di sussidiarietà a dar luogo ad esempio, nella sanità, alla chiusura di numerosi ambulatori di quartiere, cosa che ha permesso e giustificato lostanziamento di fondi regionali destinati dal ciellino Formigoni a pagare i privati per fornire gli stessi servizi che erano prima garantiti dalla mutua. La sanità lombarda si è così trasformata in un gigantesco terreno di speculazione, in cui a farla da padroni sono stati sin da subito soggetti “amici”, affini all’impostazione ideologica proposta da CL. Ora Obiettivo Studenti propone lo stesso modello per l’Università: che i servizi allo studente siano abbandonati dall’amministrazione nelle mani di associazioni studentesche in grado di erogarli… E chi meglio di Comunione e Liberazione, con le sue enormi risorse finanziarie e il rigoroso inquadramento ideologico dei suoi adepti?

Nel paragrafo Diritto allo studio – Tutto da rifare, la furbesca citazione dei principi costituzionali fa da cornice all’affermazione del seguente concetto: “E’ venuto il momento di realizzare un diritto allo studio in cui lo Stato eroghi i soldi direttamente agli studenti, i quali poi sceglieranno in che sede universitaria spenderli, instaurando così una competizione virtuosa tra gli atenei.” Siamo in presenza della medesima argomentazione alla base dell’istituzione dei “buoni scuola” da parte della Giunta regionale presieduta da Formigoni: dietro unaposticcia “libertà di scelta” si stende l’ombra del potere seduttivo-mediatico esercitato dalle università private (confessionali e non), che avranno buon gioco ad assicurarsi i borsisti nella competizione con un’università pubblica sempre più disperatamente a corto di fondi.

Qui ci fermiamo nell’analisi del programma di Obiettivo Studenti. D’altra parte il resto è per lo più uno sfoggio di populismo e ammiccamenti assortiti al “senso comune” che nulla aggiungono a quanto lo studente già sa della politica universitaria di Comunione e Liberazione.

Sara Capasso: quando “sinistra” può anche voler dire “destra”

Lo confessiamo: nell’approcciarci alla lettura del programma elettorale proposto a sostegno della candidatura di Sara Capasso, non immaginavamo la profondità del dissenso che le proposte in esso contenute avrebbero suscitato in noi.

Unico lato positivo: una generica attenzione ai problemi di chi studia e lavora, tema che Démos va ponendo da parecchio, tanto nel proprio lavoro nei consigli di facoltà, quanto nelle iniziative di comunicazione con gli studenti. Il programma di Sara Capasso non dice nulla di concreto in proposito, ma menziona la tematica, il che è meglio di niente.

Per il resto, non si sfugge all’impressione complessivamente negativa determinata da una terminologia che fa sue le espressioni più in voga nella vulgata destrorsa e nel lessico aziendalista tanto di moda. Ovviamente dietro c’è la supina accettazione di alcuni dogmi ideologici che trionfano nell’Italia berlusconiana: come non vedere infatti, dietro alla “spendibilità sul mercato del lavoro” evocata dalla Capasso per la formazione di base, l’ombra lunga delladecennale battaglia culturale intrapresa dai settori dominanti della societàper rovesciare il paradigma su cui si era costruito il processo di democratizzazione del sistema scolastico e universitario nazionale? Viene in mente la formulazione coniata da un convegno di Confindustria nel 1995, che invocava la trasformazione del sistema formativo per renderlo idoneo alla creazione di “menti d’opera emancipate dal sapere critico”. Queste sono le richieste del “mercato”, a noi di determinare se una simile soluzione ci soddisfi o se invece non vada combattuta.

Ovviamente non poteva mancare l’evocazione della “competizione” tra studenti, la cui incentivazione è indicata come obiettivo da perseguire nella ridefinizione del sistema di erogazione delle borse di studio, della cui consistenza si chiede un aumento. Come a dire: mettiamo un po’ più di ciccia intorno all’osso, prima di farvi scannare per la sua spartizione. Vale la pena di sottolineare che la società in cui viviamo è già spietatamente competitiva, e voler spostare il momento d’inizio della competizione nel pieno della fase di acquisizione degli strumenti per potersi costruire un futuro, appare cosa davvero inquietante. Se poi si aggiunge che la “competizione” viene indicata come desiderabile in relazione alle borse di studio, cioè a quello scarno e insufficiente strumento che dovrebbe mettere una pezza al meccanismo di selezione di classe che tiene fuori dall’università le fasce più povere della popolazione, non si può non indignarsi.

Altro elemento di allarme è rappresentato dalla riaffermazione dell’autonomia universitaria, ovvero di quel meccanismo che ha contribuito in modo decisivo asquilibrare su base territoriale e di peso politico la qualità degli atenei, portando tra l’altro alla limitazione della mobilità degli studenti da un ateneo all’altro, determinata dalla non uniformità dei piani di studio e dell’attribuzione dei crediti persino per materie fondanti i singoli corsi di laurea (ad esempio Istituzioni di Diritto Privato per Giurisprudenza). Contro l’autonomia si sonomobilitate nei decenni decine di migliaia di studenti e sarebbe prioritario, per costruire un sistema democratico e giusto, il suo superamento in funzione della garanzia dell’accesso a una formazione universitaria la cui qualità sia uniformemente alta su tutto il territorio nazionale e all’interno della quale sia garantita la mobilità. D’altra parte non è ridicolo parlare di “internazionalizzazione”, quando poi allo studente risulta problematico il riconoscimento degli esami sostenuti nel passaggio dall’Università di Milano a quella di Pavia (entrambe lombarde, entrambe statali)?

Ciò che ci ha più sconcertato è stato però il paragrafo dedicato all’Expo. Dice la Capasso: “Come cittadini, prima ancora che come rappresentanti, dobbiamo pretendere che le università milanesi siano al centro del progetto di rilancio della città.” E noi che eravamo convinti di dover viglilare, come cittadini, affinché l’Expo non si trasformi, come sta avvenendo, in occasione di arricchimento per speculatori e traffichini, nonché di conquista di posizioni di potere per amministratori più attenti alla propria posizione personale a alle logiche di lobby che alla vivibilità di una città da difendere dall’imminente colata di cemento che si appresta ad investirla col pretesto del grande evento. Il programma di Sara Capasso propone invece che ci si batta perché anche all’Università vada una fetta della torta, le cui briciole cadrebbero dalla tavola ad alleviare i disagi degli studenti. Beh, noi non ci stiamo!

In questo quadro, la proposta di distribuire incentivi pubblici ai locatori privatiper risolvere il problema degli alloggi per gli studenti fuori sede, appare solo come il perfezionamento del cedimento politico e culturale dell’area cui Sara Capasso fa riferimento alle logiche e alle parole d’ordine del liberismo imperante.

Conclusione

La nostra trattazione, per esigenze di completezza, si è dilungata. L’abbiamo organizzata in modo che ogni sua parte possa essere letta indipendentemente dalle altre, in modo da renderla più fruibile, a dispetto della lunghezza.

Trattare compiutamente dei programmi presentati in questa tornata elettorale ci è servito a rendere chiari, una volta di più, i caratteri dell’alternativa che ci siamo impegnati a costruire tra gli studenti, a motivare l’atteggiamento da noi assunto nei confronti delle forze in campo e a riaffermare il nostro impegno come soggetto autonomo in lotta per un’Università migliore.

Sabato, 01 Maggio 2010
1° MAGGIO: Giornata dell’unità dei lavoratori

Il Primo Maggio è la giornata in cui si manifesta l’unità delle classi lavoratrici di tutto il mondo, impegnate a riaffermare il proprio ruolo di costruttrici del futuro e forza trainante della società.

Confermando il proprio impegno a organizzare gli studenti nella lotta al loro fianco, Démos dedica loro questa poesia di Attila Jozsef.

POESIA DEL RAGAZZO PROLETARIO

Mio padre dalla mattina alla sera

Suda, va e viene, lavora,

non c’è un uomo migliore di mio padre,

non c’è, non c’è in nessun posto.

Porta una giacca logora mio padre,

ma a me compra un vestito nuovo,

e mi parla di un bel futuro,

amorosamente.

Dei ricchi è prigioniero mio padre,

e lo maltrattano, lo umiliano, poveretto,

ma la sera lui ci porta lo stesso

una buona speranza.

Mio padre è un combattente, un grand’uomo,

per noi vende orgoglio e forza,

ma non umilia mai se stesso

davanti al denaro.

Mio padre è triste, pover’uomo,

ma se non avesse riguardo per suo figlio,

fermerebbe lui questa grande, triste

commedia.

Se mio padre non volesse,

non esisterebbero i ricchi,

così ogni mio piccolo compagno sarebbe

come sono io.

Se mio padre dicesse una sola parola,

ah, in molti tremerebbero,

e molti non vivrebbero così allegramente

e felicemente.

Mio padre lavora e lotta,

non c’è nessuno più forte di lui, forse,

è più potente anche del re

mio padre.


Venerdì, 23 Aprile 2010
25 APRILE 2010: Unire gli antifascisti in Università

Lettera aperta dell’Associazione Démos – Studenti Comunisti a tutte le organizzazioni studentesche antifasciste della Statale.

Fra pochi giorni sarà il 65esimo anniversario della Liberazione. L’Associazione Démos – Studenti Comunisti, per tale ricorrenza, intende invitare tutte le organizzazioni studentesche al rilancio delle politiche antifasciste non solo all’interno dell’università, ma anche a livello sociale.

Ci pare necessario rinnovare tali iniziative visto le spinte neofasciste che investono il Paese. In Italia, il fascismo non è più, o quasi, quello dell’olio di ricino, ma è diverso e si presenta in nuove forme. Le derive xenofobe della Lega Nord e le politiche accentratrici/dittatoriali del Popolo delle “Libertà” sono da considerarsi le nuove forme di fascismo con le quali si tenta di distrarre le masse dalle reali problematiche italiane, in particolar modo in tempo di crisi economica, quando il precipitare delle condizioni di vita potrebbe preludere a una nuova fase di lotte sociali e dunque, torna all’ordine del giorno la strumentalizzazione a fini politici di odio, intolleranza e razzismo.

Non è possibile, visto il clima che il Paese si trova ad affrontare, abbandonare la lotta e pensare che il pericolo fascista sia solo una paura anacronistica e priva di fondamenta nella realtà storica attuale. E’ necessario invece che tutti coloro che identificano nell’antifascismo e nella Resistenza il vero momento di rottura della storia nazionale, il momento in cui per la prima volta nel nostro Paese si è manifestata la possibilità di un ordinamento politico e sociale giusto, si uniscano e lavorino insiemeper riaffermarne i valori, contro ogni revisionismo e ogni tentativo di tornare indietro e riabilitare le lugubri memorie di quel fascismo che è stato a tutti gli effetti la pagina più vergognosa della storia d’Italia.

Per questo proponiamo la formazione di un comitato unitario antifascista permanente, costituito da tutte le organizzazioni studentesche che intendano coordinarsi per affermare insieme, più efficacemente di quanto non sia avvenuto fino ad ora, l’antifascismo come elemento fondante della nostra comunità accademica. Chiediamo a tutti di pronunciarsi sulla nostra proposta per dar luogo al più presto a riunioni e assemblee che permettano di definire le forme per dare vita a questa importante iniziativa.

L’Associazione Démos – Studenti Comunisti


Domenica, 18 Aprile 2010
Guy MOQUET: “voi tutti che restate, siate degni di noi, i 27 che vanno a morire.” ORA E SEMPRE RESISTENZA

A ridosso della settimana del 25 aprile, quando i valori antifascisti su cui dovrebbe fondarsi la nostra società mostrano con maggiore chiarezza il loro stridere con la realtà di un paese in pieno regresso civile e morale, ci è parsa cosa utile tradurre e pubblicare l’ultima lettera di un giovane condannato a morte della Resistenza francese.

Guy Moquet aveva diciassette anni quando, il 22 ottobre 1941, fu fucilato dai nazisti. Figlio di un deputato comunista, era entrato nella Resistenza seguendo le orme del padre. Avrebbe voluto studiare giurisprudenza, diventare avvocato, viaggiare…

Abbiamo scelto di pubblicare la sua lettera in particolare, soprattutto per quell’ultimo pensiero: “Voi tutti che restate, siate degni di noi, i 27 che vanno a morire.” Riteniamo che possa essere un’occasione per ciascuno, di fare i conti con il contributo che individualmente e collettivamente riusciamo a dare alla lotta per costruire un mondo e un’Italia migliori, ma anche uno sprone a non accettare i compromessi, ad andare fino in fondo nel fare ciò che è giusto.

———————————————-

Cara mammina, fratellino adorato, mio amato papà,

Sto per morire! Quello che domando a voi, e in particolare a te, mammina, è di essere coraggiosi. Io lo sono e voglio esserlo come coloro che mi hanno preceduto. Certo, avrei voluto vivere. Ma quello che mi auguro con tutto il cuore, èche la mia morte serva a qualcosa. Non ho avuto il tempo di baciare Jean. Ho baciato i miei due fratelli Roger e Rino. Quanto all’importante, non potrò farlo purtroppo!

Spero che tutte le mie cose ti saranno restituite: possono servire a Serge, che ne sono certo, un giorno sarà fiero di portarle.

Papino, se ti ho procurato, cosiccome alla mamma delle pene, ti saluto un’ultima volta. Sappi che ho fatto del mio meglio per seguire la strada che tu mi hai tracciato.

Un ultimo addio a tutti i miei amici, a mio fratello che amo tanto. Che studi bene per diventare un uomo.

Diciassette anni e mezzo; la mia vita è stata breve, non ho alcun rimpianto se non quello di lasciarvi tutti. Morirò con Tintin, Michels. Mamma, quello che ti chiedo, che voglio tu mi prometta, è di essere coraggiosa e di vincere la tua pena.

Non posso aggiungere altro. Vi lascio tutti, tutte, tu mamma, Serge, papà, abbracciandovi con tutto il mio cuore di bambino. Coraggio!

Il vostro Guy Che vi ama.

Guy

Ultimo pensiero: voi tutti che restate, siate degni di noi, i 27 che vanno a morire.


Sabato, 17 Aprile 2010
Risposta alla richiesta di Démos di maggiore informazione sulla SECONDA RATA

Pubblichiamo la risposta della Dott.ssa Emanuela Dellavalle, Capo Divisione Segreterie Studenti, alla nostra richiesta di assicurazioni in merito alla diffusione delle informazioni sul reperimento del bollettino per il pagamento della seconda rata delle tasse universitarie (LINK alla pagina dove reperire il MAV).

Gentile sig. Arena,
si conferma che sarà inviata una mail agli studenti per cui è stato emesso il mav di seconda rata, non appena lo stesso verrà pubblicato sul sito.
Nel frattempo renderemo maggiornamente visibile l’informazione.

Cordiali saluti.

Emanuela Dellavalle
Capo Divisione Segreterie Studenti
Via Santa Sofia 9/1


Giovedì, 15 Aprile 2010
MAV per la seconda rata: Démos chiede più informazione per gli studenti

Pubblichiamo la lettera scritta dal nostro Consigliere di Facoltà, Alessio Arena, alle figure competenti dell’Ateneo e della Facoltà, per chiedere un intervento urgente finalizzato a diffondere le informazioni relative al reperimento del MAV per il pagamento della seconda rata delle tasse universitarie di quest’anno.

Ricordiamo che quest’anno il MAV non sarà inviato per posta, ma dovrà essere scaricato dal computer di casa o presso i terminali SIFA dal sito dell’Università (link).

———————————————————

c.a. Dott.ssa Emanuela Dellavalle

c.a. Dott.ssa Filomena Cicora

c.c. Prof. Alessandro Albisetti, Preside della Facoltà di Giurisprudenza

Oggetto: Modalità di pagamento della seconda rata per l’iscrizione all’a.a. 2009/2010

La presente per rendere noto, in ordine a quanto in oggetto, la scarsa diffusione dell’informazione relativa al cambiamento delle modalità di reperimento del MAV per il pagamento della seconda rata delle tasse per l’iscrizione all’anno accademico in corso.

Come risultante dalla Nota Informativa datata 18 giugno 2009, quest’anno il MAV non sarà più recapitato per posta, ma dovrà essere scaricato dal sito dell’Ateneo. In relazione a questo cambiamento, rendo noto che a tutt’oggi molti studenti non ne sono a conoscenza o consapevoli.

Viste le conseguenze che ciò minaccia di comportare per gli studenti come per l’organizzazione della riscossione della rata, chiedo che s’intervenga urgentemente con misure adatte ad aumentare la diffusione di questa importante informazione, quali la pubblicazione di un collegamento diretto alla pagina dove scaricare il MAV da inserirsi sulla Home Page tanto del sito di Ateneo quanto di quello della nostra Facoltà, l’invio di un avviso in proposito tramite le liste di diffusione di posta elettronica, l’affissione di tale avviso nei punti di maggiore transito dei locali dell’Ateneo e la sua lettura prima dell’inizio delle lezioni.

Certo dell’attenzione che verrà riservata alla presente, nell’interesse della tutela degli studenti della Facoltà di Giurisprudenza e dell’Ateneo tutto, e in attesa di cortese riscontro, l’occasione mi è gradita per porgere distinti saluti,

Alessio Arena

Consigliere di Facoltà – Giurisprudenza

Martedì, 06 Aprile 2010
Luigi PESTALOZZA: Resistenza, Costituzione e lotta di classe

L’Associazione Démos – Studenti Comunisti organizza un incontro di approfondimento sul tema della relazione tra Resistenza antifascista, Costituzione e lotta di classe con Luigi Pestalozza.

Luigi Pestalozza, nemico “dello spirito e della prassi dell’inerzia del pensiero unico”, è nato nel 1928. Ha partecipato giovanissimo alla Resistenzanelle Brigate “Giustizia e Libertà”. Assistente di Lelio Basso durante laCostituente, aderisce al PCI nel 1956, venendo chiamato da Togliattia far parte della redazione del settimanale Rinascita qualche anno dopo ed entrando poi a far parte del Comitato Centrale del Partito. Il suo impegno comunista continua tuttora. E’ Vicepresidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI).

Musicologo tra i più importanti d’Europa, legato ai maggiori compositori di musica contemporanea ed elettroacustica , ha insegnato Storia della Musica all’Accademia di Brera. Ha fondato e dirige la rivista MusicaRealtà.
Laureato in Giurisprudenza, ha anche pubblicato numerosi studi sulla Costituzione.

Al termine dell’incontro è previsto un RINFRESCO.

Data: venerdì 9 aprile 2010

Ora: 11.00 – 13.00

Luogo: Università degli Studi di Milano, Via Festa del Perdono
Auletta A (dopo la libreria CUSL)

Sabato, 27 Marzo 2010
Corsi in lingua straniera e propedeuticità: piccoli progressi per gli studenti

La Commissione didattica e il CdF del 24 marzo scorso hanno esaminato la possibilità di riconoscere i 3 crediti dati dall’accertamento della lingua straniera giuridica a chi superiesami da sostenersi in lingua straniera. L’occasione è stata fornita dalla discussione sulla richiesta avanzata in proposito dall’Istituto di Diritto del Lavoro, riguardante il corso di Diritto Comunitario del Lavoro tenuto in lingua inglese dal prof. Dorssemont.

Su nostra proposta motivata dai pareri fortemente contrastanti emersi tra i docenti, agli studenti che sosterranno l’esame sarà rilasciata un’attestazioneriguardante il loro uso della lingua inglese giuridica, da presentare al titolaredell’esame di accertamento linguistico. Il passaggio dell’esame di lingua ne risulterà agevolato.

Questa misura, prevista in via transitoria solo per il corso di Diritto Comunitario del Lavoro, prelude a una unificazione del trattamento per tutti i corsi in lingua straniera, che si discuterà l’anno prossimo.

E’ stata poi deliberata l’eliminazione della propedeuticità di Diritto Processuale Civile al sostenimento dell’esame di Diritto Amministrativo. Il provvedimento sarà sottoposto alla ratifica del Senato Accademico ed entrerà presto in vigore.


Lunedì, 22 Marzo 2010
INTERVISTA AL PRESIDE DELLA FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA, PROF. ALESSANDRO ALBISETTI

a cura di Alessio Arena

Quello della condizione particolare che si trova ad affrontare lo studente che all’attività accademica accompagna quella lavorativa, è un tema non nuovo. La crisi economica, tuttavia, con le sue pesanti ripercussioni sul bilancio delle famiglie e la conseguente creazione di nuovi bisogni e nuove difficoltà, lo ripropone oggi come un punto ineludibile nella lotta per affermare e difendere il diritto allo studio.

Che studiare e lavorare contemporaneamente richieda sacrifici, è cosa del tutto evidente. Che l’inevitabile dilatazione dei tempi dello studio, con i costi che ciò comporta, penalizzi gli studenti secondo criteri economici è inaccettabile, perché lesivo del principio di eguaglianza nell’accesso alla conoscenza. Consentire il prolungarsi di una situazione del genere aumenterebbe il divario già da sempre presente negli studi tra ricchi e poveri, inquinando con una sempre più pesante selezione di classe un sistema universitario già malato.

Nell’ottica della promozione di un dialogo costruttivo tra tutte le componenti dell’Ateneo per trovare e applicare soluzioni concrete al problema a tutti i livelli, abbiam intervistato per vostro conto il Preside della Facoltà di Giurisprudenza, Prof. Alessandro Albisetti, che ringraziamo per la disponibilità. Questa intervista, così come quelle ai Presidi delle altre Facoltà nei cui Consigli siamo rappresentati, deve a nostro avviso servire a dare il via a un confronto cui invitiamo tutti gli studenti a partecipare in prima persona.

D: La condizione degli studenti lavoratori rappresenta da sempre un tema strettamente connesso con quello del diritto allo studio. Sono disponibili dei dati ufficiali che ci permettano di intuire la portata del fenomeno?

Non mi risulta che vi siano dati recenti in proposito.

D: Ritiene che la politica dell’Ateneo in proposito abbia compiuto dei passi avanti nel tempo? Se si, quali sono stati?

E’ un tema che è stato affrontato, senza però che si sia giunti a soluzioni o a proposte particolarmente avanzate. E’ un tema vecchio e complesso, perché affrontarlo comporterebbe predisporre una politica in proposito, e ciò non è semplice. Se ne è discusso di recente anche in Senato Accademico, senza però approdare, almeno per il momento, a risultati positivi.

D: Quali sono, a suo avviso, le peculiarità attuali del fenomeno nella nostra Facoltà?

La Facoltà di Giurisprudenza ha sempre avuto un alto tasso di frequenza di studenti lavoratori.

Se intendiamo per “studente lavoratore” lo studente cha ha un lavoro fisso, stabile ed è più anziano della media degli studenti, penso che il numero sia diminuito nel tempo. Ciò naturalmente non implica che il fenomeno non debba essere osservato e non si debbano predisporre misure di supporto.

Se invece s’intende fare riferimento anche ai giovani che svolgono lavori a tempo determinato, la questione cambia. Se si adotta questa seconda e più ampia accezione del termine, credo che il fenomeno sia in espansione. Devo precisare però che in genere, nel dibattito negli organismi accademici, si tende a indicare come “studente lavoratore” chi fa del lavoro la propria attività principale.

D: Ritiene che siano possibili miglioramenti nella politica dell’Ateneo e in quella della Facoltà da Lei presieduta?

La Facoltà si deve, in generale, attenere alle direttive di Ateneo, senza contare poi che il periodo attuale è caratterizzato da ristrettezze di bilancio che ne limitano ulteriormente l’autonomia.

Era stata prospettata l’adozione di una formula che non mi convinceva molto: quella dell’iscrizione come studente lavoratore, che avrebbe comportato un’offerta didattica inferiore, nel senso che invece di sostenere otto o sei esami all’anno, lo studente ne avrebbe sostenuti di meno. La questione si sarebbe posta in termini di calcolo dei crediti, rimanendo salva la possibilità di prolungare il corso di studi. In sostanza, però, l’idea era quella di consentire l’iscrizione sotto un regime diverso, per evitare il fuori corso. Questa soluzione, che non è stata poi praticata, a me pare superata.

D: Quali potrebbero essere, a suo avviso, le priorità d’intervento in proposito?

Penso che la via per uscirne sia il tutorato, ovvero poter destinare dei fondi stanziati dall’Ateneo a giovani ricercatori, ma anche a giovani non strutturati, per seguire questi studenti.

In passato si è fatto il tentativo di istituire corsi speciali per i lavoratori in orari serali, ma la partecipazione era scarsa. Io stesso ho cominciato la mia carriera come docente di diritto ecclesiastico presso la Facoltà di Scienze Politiche, tenendo il corso per i lavoratori – il che significava tenere le lezioni dalle cinque del pomeriggio in poi. In realtà vi si poteva iscrivere chiunque, ma il vincolo era quello di tenere le lezioni in orario avanzato. E’ una soluzione comunque percorribile, ma che può scontrarsi con una scarsa partecipazione derivante anche dal sovrapporsi degli orari d lezione con quelli dedicati allo studio.

La via del tutorato mi pare la più praticabile perché più flessibile e capace di venire incontro tanto alle esigenze dei giovani che lavorano part-time, quanto a quelle dei lavoratori a tempo pieno. Per perseguirla sarebbero però necessari, come dicevo, dei finanziamenti, cosa particolarmente difficile da ottenere in questo momento.

Le altre interviste:

Link all’intervista al Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Prof. Elio Franzini

Link all’intervista al Preside della Facoltà di Scienze Politiche, Prof. Daniele Checchi



Martedì, 09 Marzo 2010
Diritto comunitario del lavoro con il professor Dorssemont

Riceviamo dal Dipartimento di Diritto del lavoro e pubblichiamo.

Il professor Filip Dorssemont dell’Università Cattolica di Lovanio terrà – anche per l’a.a. 2009/2010 – il corso di Diritto comunitario del lavoro presso la nostra facoltà di Giurisprudenza.

Il corso – interamente in lingua inglese – avrà una durata di 45 ore e si terrà nel secondo semestre a partire da lunedì 12 aprile presso la sala lettura della Sezione di Diritto del Lavoro del Dipartimento di Economia, Diritto del Lavoro e Diritto Tributario, secondo il calendario consultabile sul sito del dipartimento di Economia, Diritto del lavoro e Diritto tributario – Sezione Diritto del lavoro.

La partecipazione alle lezioni comporta il riconoscimento di ulteriori 3 crediti formativi a titolo di accertamento della lingua straniera in aggiunta ai 6 crediti previsti in caso di superamento dell’esame.

Il professor Dorssemont ha insegnato presso l’Università di Antwerpen (Belgio), di Utrecht e di Rotterdam (Paesi Bassi), l’Università Robert Schuman di Strasburgo (Francia) e la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cassino, oltre ad essere membro dell’ETUI – European Trade Union Institute e autore di numerose e importanti pubblicazioni in materia.

Nelle lezioni gli studenti affronteranno i principali temi del Diritto del lavoro comunitario attraverso l’analisi del materiale fornito dal professor Dorssemont.

Il corso offre un’opportunità unica per arricchire e valorizzare il proprio percorso di formazione e s’inserisce nei programmi di internazionalizzazione del nostro Ateneo.

Lunedì, 08 Marzo 2010
Festa della Donna – 8 MARZO 2010

di Valentina Menardo

Qualche cenno storico per ricordare cosa accadde in questa data è forse l’unico modo per imparare a viverla nella sua complessa e brutale realtà, e non come giorno di sfrenato divertimento commerciale. E’ il 1908, quando pochi giorni prima dell’8 di marzo, in una fabbrica di New York, la Cotton, 129 operaie esasperate dalle condizioni di lavoro disumane nelle quali erano costrette a lavorare, decisero di scioperare. Lo sciopero fu protratto ed il proprietario decise di blindare le 129 donne all’interno dell’edificio, al quale venne dato fuoco. Morirono tutte arse dalle fiamme. Morirono in quanto colpevoli di aver manifestato e lottato per i propri diritti. Fu Rosa Luxemburg a proporre questa data, l’8 marzo, come giornata del ricordo ma anche come simbolo di lotta.
Donna è un termine semplice, un nome comune, che racchiude in se mille caratteristiche, mille aspetti e la peculiarità di essere fonte di vita. Un intreccio perfetto, dato da un delicato equilibrio che a volte unisce, a volte separa e a volte penalizza. Essere una donna vuol dire vivere come tale: consapevole delle proprie forze e delle proprie debolezze, consapevole di poter vincere o di poter perdere, consapevole di essere donna nel mondo e madre nella vita. Se solo questo fosse assodato nelle coscienze, allora forse saremmo già a buon punto ed allora forse non servirebbe dover manifestare per avere ciò che spetta e che invece è rimesso alla decisione aleatoria di un dio terreno. Però forse questo è stato quello che ha mostrato come essere unite, convinte delle proprie idee e tenaci, abbia portato ad un risultato: positivo o negativo, ma di certo pubblico e necessario perché non si smetta mai lottare per le proprie idee. Donne importanti hanno segnato lo scenario storico mondiale: la veemente eleganza con la quale si son imposte ha scandito i tempi dell’evoluzione. Ed alcune di loro son quelle che nella storia recente hanno dettato alcuni grandi cambiamenti: Dolores Ibarruri, la “pasionaria”; Maria Montessori e Rita Levi Montalcini; Rosa parks; Rossana Rossanda. E potrei elencarne molte altre, ma non raggiungerei il mio intento. La storia delle donne è stata tortuosa, ha vissuto angustie immani, ma è stata vinta dalle donne: donne famose, donne sconosciute, ma sempre donne comuni. La donna attuale purtroppo non ha ne la stessa forza ne la stessa volontà di lottare per se, vive aggrappata a conquiste sudate da altre donne, che oggi sembrano sempre più lontane. La determinazione, la caparbietà, la tenacia son come ovattate, e pian piano queste vengono sostituite da uno spirito di adattamento misto a rassegnazione che quasi costringe a scegliere la strada più semplice. La donna che vive realtà meno agiate, più discusse, segnate da regole invalicabili che dettano la supremazia maschile è quella donna che sceglie di combattere sapendo di farsi male; la donna che vive la realtà degli stati del primo mondo è invece consapevole di dover vincere le paure degli uomini, di quella parte uomini che inspiegabilmente teme il sesso “debole”.
Oggi serve in tutte noi donne la consapevolezza forte che tutte le conquiste sono state strappate a costo della vita da altre donne e che per questo bisogna continuare a rivendicarle con forza. Ogni conquista del passato sarà messa in discussione sempre, perché tutto ciò che riguarda la libertà femminile viene messo in discussione, per questo serve ricordare e andare avanti in questa direzione. Non solo l’8 marzo, ma ogni giorno, combattendo per quello in cui crediamo e custodendo sempre ciò che abbiamo.

Domenica, 07 Marzo 2010
Perché Giurisprudenza? Una testimonianza

Perché Giurisprudenza? Una testimonianzadi Flavio Agosti

Mi trovo a scrivere senza un validissimo motivo. Ritengo di parlare meglio di quanto riesca a scrivere. Sarà abitudine.
Non sapevo bene di quale argomento trattare. In verità ce ne sono molti che ho preso in considerazione. Lo status di studente lavoratore su cui stiamo portando avanti una campagna di sensibilizzazione, oppure i motivi che potrebbero spingere una giovane matricola nella scelta della facoltà da frequentare, oppure il ruolo a cui siamo implicitamente chiamati a svolgere i quanto studiosi di diritto.
Proprio su questo ultimo punto avrei voluto scrivere intere pagine sui motivi per cui sia utile studiare giurisprudenza e sapere che si ha in mano una possibilità di cambiare le cose.
Allora ho iniziato a pensare alla mia vita in Università e mi è venuta in mente un’aula. La 311 che è dedicata all’Avvocato milanese Giorgio Ambrosoli.
Di che parte politica è? Francamente non lo so. Ci sono cose che travalicano l’appartenenza politica, cose come l’onore. Cercate Paolo Borsellino e Giovanni Falcone e ne avrete un’idea. Notizie di lui? Cercando in Internet trovo su Wikipedia una frase virgolettata estrapolata da una lettera che l’avvocato indirizzò a sua moglie:

« È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di far qualcosa per il Paese. »

Venerdì, 05 Marzo 2010
Scritte fasciste in Centrale: qualcosa si muove

Scritte fasciste in Centrale: qualcosa si muoveA proposito delle scritte fasciste sul pianerottolo della Centrale, pubblichiamo la risposta alla nostra segnalazione della Dott.sa Lidia Diella, Direttrice della Biblioteca, alla quale abbiamo già fatto pervenire il nostro ringraziamento per l’attenzione e la sollecitudine.

A seguito delle segnalazioni, ho controllato ed effettivamente ci sono le scritte denunciate sui muri del pianerottolo.
Ho colto l’occasione per richiedere la tinteggiatura delle scale della biblioteca, che necessitano di una ripulitura generale, e spero possa essere effettuata a tempi ragionevoli.
Cordiali saluti.

Dr.ssa Lidia Diella
Direttrice della Biblioteca delle Facoltà
di Giurisprudenza e di Lettere e Filosofia



Giovedì, 04 Marzo 2010
Scritte fasciste: la risposta del Prof. Ferrari

Stamattina abbiamo inoltrato al responsabile biblioteche della Facoltà di Giurisprudenza, Prof. Erminio Ferrari, una segnalazione circa la comparsa di scritte fasciste sul pianerottolo della Biblioteca Centrale.
A poche ore di distanza, ecco la risposta del Prof. Ferrari, che ci reindirizza altrove. Non mancheremo d’insistere.

Gentili Signori,

mi spiace ma non so proprio dove mettere le mani per pulire muri imbrattati.
Vi pregherei di segnalarlo alla portineria oppure forse all’ufficio edilizia.

Cordiali saluti

Erminio Ferrari

Giovedì, 04 Marzo 2010
Cancellazione delle scritte fasciste in Biblioteca Centrale

Démos U.C. e Sinistra Universitaria della Facoltà di Giurisprudenza chiedono che vengano cancellate le scritte a sfondo fascista comparse da qualche giorno sul pianerottolo della Biblioteca Centrale di Via Festa del Perdono. Segue il testo della lettera inviata al prof. Erminio Ferrari, responsabile biblioteche della nostra Facoltà.

Gent.mo Prof. Ferrari,

la presente per informarLa della comparsa, sul pianerottolo antistante l’ingresso della Biblioteca Centrale, di scritte a sfondo fascista, svastiche e croci celtiche, incitanti alla violenza e al razzismo.

Abbiamo già provveduto a informare del fatto il Preside, il quale ci ha suggerito di rivolgerci a Lei. La preghiamo pertanto di voler intervenire per sollecitare la cancellazione di tali scritte che offendono lo spirito di apertura, tolleranza e democrazia proprio di ogni luogo di studio e incentivano l’ulteriore imbrattamento delle
pareti.

Ringraziandola anticipatamente, Le inviamo cordiali saluti

I Consiglieri di Facoltà

Alessio ARENA (Démos U.C. – Alternativa Rossa)
Valentina ANZANI (Sinistra Universitaria)
Chiara Alberta CALORI (Sinistra Universitaria)


Domenica, 28 Febbraio 2010
Ancora sul test d’ingresso (Progetto VERJUS)

Le sedute della Commissione Didattica e del Consiglio di Facoltà di mercoledì 24 febbraio scorso sono state occasione per un bilancio completo dell’esperienza della prima sessione del test d’ingresso (progetto VERJUS)per i neo-iscritti alla Facoltà che abbiano totalizzato un punteggio inferiore ai 70/100 all’esame di maturità.
Si ricorderà come la sua introduzione, prevista per Decreto Ministeriale, fosse stata oggetto, nel mese di luglio, dellanostra ferma opposizione. Avevamo in quell’occasione denunciato il carattere ideologico di un provvedimento la cui sola utilità consiste nel negare il valore del titolo di studio superiore, nell’ottica della sua abolizione sul piano legale (Clicca qui per rileggere il nostro volantino in proposito).
Spesso avviene che provvedimenti ideologici che non fanno i conti con la realtà,generino difficoltà applicative e producano contraddizioni ai limiti del farsesco. E’ questo il caso del nostro test. Su più di cinquecento studenti interessati, poco meno della metà non si sono presentati a sostenerlo. Tra coloro che lo hanno sostenuto (circa 280), solo 19 sono stati respinti, per lo più per carenze di cultura generale.
Ed ecco i problemi da ciò posti:
1- Come costringere gli studenti che non si sono presentati a svolgere il test, dal momento che non è possibile prevedere alcuna sanzione?
2- Come organizzare il “recupero” per i bocciati, in particolare per ciò che attiene alla cultura generale?
Quanto al primo punto, gli studenti affezionati al giuspositivismo classico si renderanno conto della contraddizione intrinseca al porre come obbligatorio qualcosa, senza che l’autorità preposta possa prevedere alcun provvedimento sanzionatorio. D’altra parte le modalità concrete di svolgimento del test(anch’esse oggetto della nostra ferma opposizione in luglio), a partire dalla soglia di obbligatorietà ai maturati con meno di 70/100, ci appaiono a tal punto inique da farci comprendere le resistenze che ciò potrebbe provocare negli interessati.
Quanto al secondo punto, si comprenderà bene come sia assolutamente impossibile prevedere corsi di recupero in “cultura generale”, data l’indefinitezza del campo che tali corsi dovrebbero coprire. Le proposte sono state le più svariate: dal considerare recuperate le lacune di chi dovesse passare gli esami di Diritto Costituzionale e Istituzioni di Diritto Privato I, fino all’organizzazione di un tutoraggio che interessasse, su base volontaria e non retribuita, studenti dalla media particolarmente alta. La nostra posizione in proposito è stata chiara: trattandosi al più di fornire ai recuperandi un metodo da applicare nel recupero delle lacune,abbiamo richiesto che a occuparsi del tutoraggio siano il corpo docente e iricercatori, i quali soli dispongono della professionalità necessaria.
Abbiamo inoltre richiesto che la Facoltà, incaricata della concreta applicazone del D.M., faccia presenti al Ministero le difficoltà incontrate. Riteniamo infatti necessario che gli organismi accademici si esprimano in maniera chiara, quando il legislatore antepone i propri dogmi ideologici al corretto funzionamento del sistema formativo.

Alessio Arena
Consigliere di Facoltà

Domenica, 28 Febbraio 2010
Dal Consiglio di Facoltà del 24/02: tagli ai fondi e accorpamento dei Dipartimenti

Il nuovo anno ha portato con se le difficoltà derivanti dal taglio del Fondo Ordinario di finanziamento dell’Università, che come si ricorderà era stato alla base della mobilitazione studentesca dell’autunno 2008.
Ora cominciano a vedersi i frutti di tali politiche: i Dipartimenti della nostra Facoltà si trovano davanti a un drastico taglio dei fondi, alla riduzione dei finanziamenti alla ricerca e alle conseguenti difficoltà nel mantenere il volume di attività attuale.
E’ inoltre in discussione in Parlamento un provvedimento che obbligherebbe all’accorpamento dei Dipartimenti con un basso numero di cattedre dipendenti. Qualora il provvedimento fosse approvato, ciò comporterebbel’eliminazione di uno dei quattro dipartimenti di cui si compone la nostra Facolta: quello di Economia, Diritto del Lavoro e Diritto Tributario.
Il CdF ha inoltre varato una “Commissione per l’Internazionalizzazione”, incaricata di occuparsi delle relazioni estere della Facoltà e del progetto Erasmus. I finanziamenti per l’attività della commissione, data la ristrettezza dei fondi, verranno richiesti all’Ateneo.
Infine è stata convocata per mercoledì 3 marzo prossimo la prima seduta dellaCommissione incaricata di studiare la nuova laurea specialistica a indirizzo economico per gli studenti di Scienze dei Servizi Giuridici.

Sabato, 30 Gennaio 2010
Riflessioni sulla Memoria

di Alessio Arena

La ritualizzazione che affligge, come un morbo precoce, la Giornata della memoria, si fa di anno in anno più evidente. L’idea di scegliere una data, quella dell’anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, per commemorare i genocidi nazisti e, con essi, i tanti stermini che hanno travagliato la storia recente dell’umanità, porta già di per sé il seme del rischio di cadere nella retorica celebrativa, nel pianto liturgico e vuoto. La fase storica che attraversiamo, per di più, rifiuta per sua natura la cultura dell’analisi critica di quanto è stato, perché quasi sempre il rifiuto di limitarsi a lamentare l’evidenza dell’orrore porta alla scoperta agghiacciante che dietro i grandi crimini della storia si celano le impalcature su cui si regge la natura più intima ed essenziale delle società in cui essi si sono manifestati.

E’ per questa ragione che occorre cogliere l’occasione offerta dalla Giornata della Memoria per riaprire una discussione seria e approfondita su come sia potuto avvenire che in quasi tutta l’Europa si sia affermato, portato sulle ali della violenza e della barbarie, l’abominio nazista e fascista che il genocidio degli zingari, degli ebrei, degli omosessuali, dei testimoni di Geova e lo sterminio degli oppositori politici volle e organizzò.

Quale struttura sociale ed economica generò il nazismo e il fascismo? Chi finanziò quei movimenti nella loro ascesa al potere? Con quali motivazioni e per perseguire quali finalità? Queste sono le domande fondamentali a cui si deve dar risposta se si vuole riempire di un significato profondo il ricordo di quanto è avvenuto. E soprattutto: quali elementi ha in comune la società in cui viviamo con quella che generò il nazismo e il fascismo?

L’analisi di tutti questi quesiti merita un approfondimento maggiore di quello che è possibile dedicarvi in questa sede, tuttavia una risposta in linea generale è possibile darla: fu il capitalismo a generare il nazismo e il fascismo. Hitler, Mussolini, Franco, Salazar, tutti furono finanziati da grandi gruppi industriali. Tutti i principali potentati del capitalismo monopolistico tedesco finanziarono e sostennero Hitler, gli consentirono di sovvertire l’ordinamento costituzionale dello stato tedesco a loro vantaggio, diedero impulso alle aggressioni imperialiste del nazismo contro gli altri popoli per tornare a competere con i loro concorrenti occidentali, inglesi, francesi e americani, dopo la frustrazione dovuta alla sconfitta nella Grande Guerra.Quegli stessi gruppi e potentati mantennero poi l’egemonia nella Germania occidentale del dopoguerra, fino ai giorni nostri, in un contesto in cui, contrariamente a quanto avveniva nella Germania democratica, lo Stato socialista sorto nei territori orientali, gli apparati pubblici si ricostituivano con l’apporto dei peggiori collaboratori del nazismo sconfitto.

Anche Mussolini fu finanziato e sostenuto dai grandi gruppi industriali del Nord Italia, le sue squadracce furono armate e aizzate dai latifondisti agrari, con l’avallo e il supporto della Francia e dell’Inghilterra. Il risultato fu chel’imperialismo fascista portò il nostro Paese a macchiarsi dei crimini più atrocicon l’aggressione all’Etiopia e con la collaborazione offerta al generale traditore Francisco Franco nel soffocare la democrazia in Spagna (anche allora a beneficio dei latifondisti spagnoli e dei capitalisti italiani e tedeschi). Infine il fascismo trascinò l’Italia in guerra, vendette il suo popolo allo sterminio nazista, aiutò la deportazione verso i campi della morte e partecipò alle più atroci rappresaglie dell’invasore tedesco contro la popolazione civile italiana.

La riflessione più profonda che si possa fare, il punto di partenza per far si che i crimini di quegli anni non si possano mai più verificare, è che la natura del dominio di classe nella nostra società non è cambiata: il capitalismo trionfante, che impone i suoi dogmi e proclama che libertà e democrazia vanno di pari passo con l’economia di mercato, è lo stesso regime aberrante che impose allora il fascismo all’Europa intera, che trascinò il mondo in guerra per far argine alla voglia di liberazione delle masse dei lavoratori e per soddisfare la sua brama di dominio e di ricchezza. Quello stesso regime ha continuato a servirsi del fascismo come arma contro la nostra volontà di liberazione fino a oggi, dal Cile all’Argentina, dalla Turchia al Brasile e alla Grecia. Ne sono risultati nuovi massacri e orrori, in un mondo in cui oggi rimbomba più che mai l’eco delle guerre imperialiste.

Ecco dunque la lezione che possiamo trarre dal senso profondo della memoria degli stermini nazi-fascisti: solo la fine della sopraffazione dell’uomo sull’uomo può porci al sicuro dall’orrore. Perché finisca di scorrere il sangue, il capitalismo deve scomparire dalla faccia della terra.

Sabato, 30 Gennaio 2010
Intervista di Vulcano ad Antonio Luongo, delegato FIOM della Maflow

Pubblichiamo il link all’intervista di Vulcano ad Antonio Luongo,delegato FIOM della Maflow, azienda di Trezzano sul Naviglio i cui 330 operai sono in lotta per difendere il posto di lavoro:

http://vulcanostatale.blogspot.com/2010/01/vogliamo-continuare-lavorare-alla.html

L’intervista è stata realizzata da Alessio Arena, consigliere di facoltà di Démos U.C. a Giurisprudenza, e Laura Carli, direttrice di Vulcano.
(Foto di Federica Storaci per Vulcano)

Giovedì, 21 Gennaio 2010
Consiglio di Facoltà, 20 gennaio 2010: brevi accenni sulla discussione

In anticipo ci scusiamo per la brevità e parzialità di queste righe. Ci ripromettiamo d’altra parte di pubblicare a breve un bilancio esaustivo dei nostri primi mesi di attività in CdF e un commento sulle modalità di lavoro di questo organismo.

La riunione del 20 gennaio è stata breve. Riportiamo a segiure l’Ordine del Giorno:
1. – Approvazione verbale seduta C.d.F. del 16.12.2010 (1);
2. – Comunicazioni del Preside;
3. – Servizi generali della Facoltà;
4. – Pratiche studenti;
5. – Supplenze, affidamenti, contratti a.a. 2009-2010 (Discussione riservata ai Docenti e ai ricercatori);
6. – Provvedimenti per posti di ricercatore (Discussione riservata ai Docenti e ai ricercatori);
7. – Varie ed eventuali.

Sono stati illustrati i risultati del test d’ingresso, la cui introduzione è stata oggetto della nostra ferma opposizione nel mese di luglio: solo 19 bocciati e una spesa complessiva di 5.800 euro. Non sono ancora state definite le modalità di “recupero” per i bocciati. Una ulteriore sessione del test è prevista per febbraio. Sottolineiamo che gli esiti della prova confermano le nostre obiezioni (Cliccare qui per visualizzare il volantino), intorno alle quali continueremo a raccogliere l’adesione degli studenti.
Sono state portate a conoscenza del CdF le difficoltà incontrate nella concessione del visto d’ingresso in Italia a un Docente statunitense che è stato invitato presso la nostra Facoltà come Professore in visita. La circostanza non è nuova, poiché si era già verificata con un’altra Docente statunitense, che infine non aveva ottenuto il visto: i semi avvelenati di una legislazione xenofoba nei confronti dell’ingresso in Italia di cittadini extracomunitari. E’ stata inoltre accolta la richiesta di una Docente dell’Università Lomonosov di Mosca di venire a compiere degli studi presso la nostra Facoltà, aprendo così la strada alla collaborazione con l’ateneo russo.
La Facoltà ha espresso l’auspicio che venga rivista la decisione di spostare alcune sezioni del Tribunale da Palazzo di Giustizia a una nuova sede in zona Porto di Mare. L’auspicio è stato da noi condiviso.


Mercoledì, 13 Gennaio 2010
Approvato il nuovo Statuto della nostra Associazione

Dal preambolo:

L’Associazione Démos – Studenti Comunisti è l’associazione politica d’avanguardia degli studenti medi e universitari che, nello spirito della Resistenza antifascista e dell’internazionalismo proletario e nella realtà della lotta di classe, lottano per dar vita a un movimento studentesco di massa dal carattere democratico e progressivo, come contributo al movimento generale per ilsuperamento del capitalismo e la trasformazione socialista della società.
L’Associazione assume come base teorica il marxismo-leninismo e gli sviluppi della sua cultura. Questa concezione, che ha la sua ragion d’essere nel rapporto tra teoria e prassi e nell’incessante progresso della conoscenza, è necessariamente creativa e dunque incompatibile con il dogmatismo come con la revisione opportunistica dei suoi principi e concetti fondamentali.

Statuto Démos



Domenica, 29 Novembre 2009
QUESTO BLOG

L’apertura di un blog dedicato agli studenti della Facoltà di Giurisprudenza non corrisponde, nelle nostre intenzioni, alla sola volontà di conferire trasparenza alla nostra attività istituzionale nel Consiglio di Facoltà. Questo elemento, seppur importante, non risulta tuttavia decisivo per un’organizzazione che, come la nostra, concepisce la rappresentanza istituzionale come qualcosa che acquisisce senso solo nella misura in cui vi corrisponda un movimento reale, una capacità di mobilitazione e di lotta tra gli studenti per impadronirsi di nuovi spazi, per affermare sé stessi come l’elemento centrale in un’Università che sembra rinnegare la propria qualità di luogo di formazione per concentrarsi sugli scontri di potere, gli affari, gli interessi individuali e corporativi.
Noi siamo comunisti. Ci siamo candidati alle elezioni accademiche dello scorso maggio affermando con forza la nostra identità e coniugandola con un programma ambizioso che era allo stesso tempo indicazione di obiettivi minimi per la tutela del diritto allo studio e invito alla partecipazione diretta, alla lotta per la loro realizzazione. Non a caso abbiamo adottato come parola d’ordine della nostra campagna elettorale, una citazione di un grande rivoluzionario del passato, Maximilien Robespierre, che affermava: “Non è essere sovrani eleggere di tanto in tanto qualche rappresentante”.
Attraverso ciò abbiamo voluto sin da subito indicare agli studenti con quale atteggiamento ci saremmo approcciati anche al lavoro istituzionale: abbiamo rifiutato sin da subito la mistica vetusta di una “rappresentanza” intesa come tutela verticale offerta da una élite di eletti a un corpo studentesco ignaro e passivo, così come abbiamorespinto una sua declinazione in chiave corporativa, “degli studenti per gli studenti”. Noi ci siamo viceversa proposti comestumento attraverso cui gli studenti potessero prendersi carico del complesso dei problemi che affliggono il nostro Ateneo, divenendo motore per la loro risoluzione, creando relazioni e interessandosi a tutto quanto avviene tra le sue mura e a quanti vi vivono giorno dopo giorno, come studenti, certo, ma anche come lavoratori, docenti, ricercatori.Ogni problema, di chiunque sia, riguarda tutti e richiede a tutti di adoperarsi per una sua soluzione, per una spinta di progresso che restituisca a ciascuno maggiore dignità e una maggiore coscienza delle proprie responsabilità e dei propri diritti.
Ma non è finita. Perché tutto questo resta lettera morta se si prescinde da una salda connessione con la realtà complessiva di cui anche l’Università fa parte. La realtà di una società in crisi, le cui contraddizioni stridenti e imploranti reclamano una risposta da ciascuno, un contributo che tutti possiamo dare nel nostro quotidiano per avvicinare la prospettiva di un avvenire in cui ci si unisca nella ricerca di forme nuove per affermare la grandezza e la dignità dell’uomo.
Le difficoltà che viviamo quotidianamente negli studi, anno dopo anno facendo fronte all’aumento delle rette e al crescere delle spese, all’insostenibilità dei costi per l’abitazione e il vitto, a una organizzazione degli studi che sembra pensata per prolungarli, facendone proibitivo il costo per chi proviene dalle classi lavoratrici, non sono che il riflesso dell’ingiustizia sociale che ci colpisce come studenti, che ci costringe a lavori precari e sottopagati, che mette in difficoltà mese dopo mese la sussistenza delle nostre famiglie. La lotta dentro l’Università per il diritto allo studio diventa così il nostro contributo offerto allo sforzo di quanti, in tutti i settori della società, si battono per migliorare, per andare avanti.
E’ questo lo spirito cui vogliamo ispirare anche il nostro blog. Non solo una sterile sequela di resoconti delle riunioni degli organi della nostra Facoltà, ma un luogo di approfondimento in cui, accanto alla puntuale informazione sui lavori delle assemblee alle quali ci avete delegati, troveranno posto riflessioni sulle condizioni di studio, testimonianze del pensiero giuridico e non solo prodotto da quasi due secoli di Movimento Operaio, elementi per restare in contatto con la realtà sociale e con i conflitti che vi si sviluppano.
E’ anche con questo che tenteremo di dare al mandato elettorale ricevuto in maggio un senso compiuto, assolvendo all’impegno che abbiamo assunto e che ne costituisce l’essenza.

Alessio Arena
Consigliere di Facoltà

Giovedì, 26 Novembre 2009
CONFERENZA STUDENTI – ESITO PRIMA SEDUTA

In merito all’esito della prima seduta della Conferenza degli Studenti dell’ Università Statale, l’Associazione Démos – Studenti Comunisti esprime l’auspicio che, contrariamente a quanto verificatovisi, in futuro si instauri tra le componenti studentesche di orientamento democratico e progressista un clima di confronto che renda possibile ricercare sui concreti problemi degli studenti della nostra Università soluzioni capaci di tutelare e favorire il diritto allo studio.

A questo scopo si auspica che vengano abbandonati metodi d’impronta non democratica, quali la demonizzazione del dissenso e la diffusione attraverso i canali istituzionali dell’Ateneo di liste di “dissidenti” proscritti, che umiliano la dignità delle rappresentanze studentesche e scavano un solco profondo tra esse e gli studenti.

Nell’esprimere la propria piena solidarietà agli studenti colpiti da questo vero e proprio atto di bullismo politico, Démos auspica che i lavori della Conferenza possano svolgersi proficuamente, in un clima diserietà e responsabilità.

L’Associazione Démos – Studenti Comunisti

Sabato, 21 Novembre 2009
Antonio Gramsci: Odio gli indifferenti

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

11 febbraio 1917


Domenica, 01 Novembre 2009
Cordoglio per la scomparsa di Arnaldo Cambiaghi

L’Associazione Démos – Studenti Comunisti esprime il propriocordoglio per la scomparsa del compagno Arnaldo Cambiaghi, già partigiano, Presidente dell’Associazione Italia-Cuba e dirigente del Partito Comunista Italiano.
Molti di noi hanno avuto la possibilità di conoscerlo, apprendere dai suoi consigli, stimarlo. Ora lo salutiamo con commozione, impegnandoci una volta di più a far nostro l’impegno che ha attraversato tutta la sua vita e che ce lo ha reso tanto vicino.

L’Associazione Démos – Studenti Comunisti
Università degli Studi di Milano
Milano, 31 ottobre 2009


Venerdì, 30 Ottobre 2009
CONTRO IL TEST D’INGRESSO

In difesa del valore legale del titolo di studio e degli interessi degli studenti

Quest’anno per la prima volta, gli studenti iscritti al primo anno di studi presso la Facoltà di Giurisprudenza della Statale usciti dalla maturità con un voto al di sotto dei 70/100, dovranno affrontare un test finalizzato ad appurare il possesso di requisiti “di padronanza della lingua italiana, logica e cultura generale”. Si tratta di un test inutile, da cui lo studente non può trarre alcun beneficio, e che costerà alla Facoltà, secondo quanto preventivato in CdF, ben 30.000 euro all’anno.

PERCHE’?

Lo ha stabilito un Decreto Ministeriale di carattere ideologico: voluto dalla destra, il test di fatto afferma il principio che la maturità non sia idonea a certificare il possesso di quei requisiti che costituiscono il minimo per il suo ottenimento. Il punto è che è la legge stessa ad attribuire al titolo di studio l’idoneità a certificare ciò: si chiama “valore legale del titolo di studio” ed è il riconoscimento giuridico dei titoli di studio che si adeguano ai profili previsti dallo schema nazionale degli ordinamenti didattici, precisato attraverso regolamenti ministeriali. Il titolo di studio è un vero e proprio certificato pubblico, rilasciato “in nome della legge” dal ministero competente (per le scuole) o da un’autorità accademica nell’esercizio di una potestà pubblica.

L’abolizione del valore legale del titolo di studio è un dogma ideologico del governo di destra e serve a dare un colpo mortale al sistema d’istruzione pubblico, privando di tutela giuridica i titoli di studio pubblici a tutto vantaggio dei diplomifici e laureifici privati, che diverrebbero a quel punto totalmente incontrollabili.

L’introduzione del test umilia il valore del titolo di studio rilasciato dalla scuola superiore, preludendo al suo superamento.

LA NOSTRA OPPOSIZIONE

La nostra rappresentanza in Consiglio di Facoltà ha respinto l’idea dell’introduzione del test. Sottoineando la propria contrarietà di principio, ha chiesto al CdF di formulare il test in modo da scollegarlo completamente rispetto al voto di maturità, facendone una prova meramente orientativa per lo studente, senza nessuna conseguenza sul suo percorso di studi.

Il CdF ha invece deliberato un provvedimento che lega l’obbligatorietà del test al voto di maturità, di fatto rafforzando l’idea che il Diploma di scuola superiore non sia idoneo a certificare ciò che per legge è chiamato ad attestare. Per questo motivo, oltre a votare contro ci siamo rifiutati, unica componente della rappresetanza studentesca, di entrare nella commissione istituita per l’attuazione pratica del provvedimento.

COSA CHIEDIAMO?

-Che la Facoltà riveda i parametri stabiliti riguardo all’attuazione della norma ministeriale che impone il test, eliminando ogni collegamento con il voto di maturità e destituendo il test di qualunque effetto pratico;

-Che il carattere ideologico della disposizione ministeriale venga denunciato dagli organismi accademici e che venga posto al Ministero il problema della sua abolizione.

Venerdì, 30 Ottobre 2009
Resoconto della prima riunione del CdF di Giurisprudenza

Resoconto della prima riunione del CdF di GiurisprudenzaLa prima riunione del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza eletto il 13 e 14 maggio scorsi si è tenuta il 7 luglio, preparata da due incontri della Commissione Didattica.
Si è discusso dell’introduzione, in ottemperanza alle disposizioni ministeriali, di un test d’ingressosuccessivo all’immatricolazione alla Facoltà per valutare il possesso, da parte dei nuovi studenti, di requisiti minimi di comprensione del testo, logica e cultura generale. La posizione assunta da Démos U.C. è stata di ferma opposizione al provvedimento, ritenuto inutile, dispendioso (si è parlato di uno stanziamento necessario di 30.000 euro) e soprattutto lesivo del valore del titolo di studio rilasciato dalle Scuole Superiori, che certifica di per sé, a norma di legge, il raggiungimento dei minimi disciplinari stabiliti dal Ministero stesso nei campi su cui l’accertamento del test d’ingresso dovrebbe vertere. Il provvedimento ministeriale che impone i test rappresenta, a nostro avviso,un primo passo per sminuire il valore legale del titolo di studio, in vista della sua eliminazione, già indicata dal Ministro dell’Istruzione come un obiettivo da perseguire.
Di fronte alle obiezioni riguardanti la necessità, da parte della Facoltà, di attenersi alla normativa ministeriale, abbiamo chiesto che la lesività del test fosse ridotta al minimo, scollegandone l’obbligatorietà dal voto di maturità e rendendolo del tutto informale e privo di effetti di qualunque tipo sul percorso universitario dello studente. Il CdF ha invece ritenuto necessario formalizzare lo svolgimento del test e fissarne l’obbligatorietà per gli studenti che accedano agli studi universitari con un voto di maturità inferiore ai 70/100. Ciò ha determinato da parte nostra la contrarietà non solo al principio dell’introduzione del test, ma anche al concreto provvedimento assunto dal CdF, cui abbiamo votato contro, per poi rifiutare, unica componente studentesca, l’ingresso nella commissione paritetica nominata per studiare l’attuazione pratica del provvedimento.
Di estrema gravità è stata poi la bocciatura della proposta di costituire con un principio di parità numerica tra rappresentanti degli studenti e dei docenti la commissione per la definizione del nuovo corso di laurea specialisticabiennale da associare alle lauree triennali in Scienze dei Servizi Giuridici. Con un margine non molto ampio è stata approvata la proposta del Preside della Facoltà di comporre tale commissione con tre rappresentanti degli studenti e cinque dei docenti. Ciò ha comportato l’esclusione di Démos U.C. dalla commissione, motivata dal fatto che la nostra è, delle quattro componenti della rappresentanza studentesca, la più debole numericamente. Si è così stabilito un criterio che crea un precedente preoccupante per i futuri lavori del CdF e una discriminazione tra le rappresentanze studentesche, cui non è stata nei fatti attribuita pari dignità. La nostra opera di vigilanza sul lavoro della commissione non verrà comunque meno.

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